giovedì 12 febbraio 2015

Omicidio a scoppio ritardato

Certi delitti sono come le mine, come le bombe della miniera, hanno la miccia lunga lunga che qualcuno l'accende e poi se ne va per non sentire neppure il botto. E scoppiano quasi da sole quelle mine, quasi senza fartelo sapere, ma quando scoppiano si sa che per qualcuno è finita. 
Certi delitti sono come la pussiera, la bastarda malattia che ti prendevi in Belgio quando andavi dentro un buco nero di  carbone per guadagnarti la vita, e intanto però ti guadagnavi la morte. O come l'uranio impoverito che buttavano da cielo i liberatori della vecchia Jugosavia negli anni novanta, o come l'amianto di Casale Monferrato.

Certi delitti partono timidamente, con una scintilla iniziale, come fa la miccia a cui qualcuno ha dato fuoco. Qualche articolo di cronaca, un po' di sdegno e nulla più. 
Il morto non ci scappa, non subito almeno, e lì per lì magari è "solo" una rapina, un reato mostruoso sì, daccordo, ma senza il sangue che serve, senza l'orrore che ci vuole per occupare la prima pagina del giornale.

E' la primavera del 2012, il 4 di maggio. Una coppia di anziani sta lì nella sua casa a tirare avanti il suo tran tran di ogni giorno, a macinare il mestiere di una vita.  E' una sera come un'altra.
La casa è di quelle che stanno fuori frazione, ahimè, ahiloro, è una casa isolata! La cucina sa di povera intimità, come una volta, la tavola in mezzo con le sue brave careghe, in un angolo la stufa, e poi il secchiaio, le chicchere buone nella credenza per offrire il caffè quando qualcuno viene a trovarci. Fuori c'è la legnaia, l'orto è appena un po' più in là. 

Non sanno i due che in quella sera di maggio così tranquilla, così uguale a tante altre sere, sta arrivando per loro un fantasma spaventoso. Non sanno che qualcuno fra poco accederà la miccia che porrà fine, di lì a pochi mesi, alla loro esistenza terrena.

Sono le sei di sera, tre giovani iene si avvicinano alla casa di Mario e di Maria, sono tre ragazzi di  origine straniera.
E' tutto molto svelto, tutto molto confuso, tutto tremendo. I tre delinquenti sequestrano i poveri ottentenni, legano lui nella legnaia, lei la lasciano svenuta dal terrore là in cucina, coi segni del coltello che le arrossano la gola. 
Il sequestro di persona e la rapina fruttano ai tre delinqenti la cifra di duecento euro, una fede nunziale, e la colpa di un omicidio a scoppio ritardato.

Tanto siamo minorenni - pensano i tre - e ci va liscia.

La miccia è stata accesa. Un fantasma è andato ad abitare in quella casa: l'orribile  fantasma del terrore. 
Sì, i tre delinquenti se ne sono andati, poi li arresteranno i bravi carabinieri del Feltrino, ma intanto il fantasma del terrore si è insediato, ed è come uno di quei mali che nessuno sa guarire.

Come state? Chiedo io.
Eh, cosa vuoi Michele, siamo sempre qua pieni di paura. - Risponde la Maria - Non si dorme più, non si sta più come prima... si ha sempre paura. Sempre.

La miccia brucia nel segreto di quella casa, nascosta come la pussiera nei polmoni, come l'amianto che ti rode e non perdona. 
Passano i mesi, e la risposta è sempre quella: Caro sindaco, non viviamo più, la paura è ancora tanta. 
Da quella risposta io capisco che il fantasma non se n'è andato e non se ne andrà da quella casa prima di aver compiuto il suo lavoro.

La miccia continua a bruciare, non importa se il giudice terrà in galera o no chi l'ha innescata in una sera di maggio.

Maggio ritorna, dopo dodici mesi con quel fantasma che ancora tormenta le sue povere vittime.

Ci sono delitti che nessun giudice potrà mai giudicare, delitti dalla natura infida come una malattia, come un tumore che lavora pian piano e non si mostra. Ci sono delitti che agiscono come veleni dell'anima, veleni che uccidono senza che la ragione o la scienza lo possano mai dimostrare. 
Collegare la morte di qualcuno ad una causa, a quella causa, è una cosa che non sempre sa fare la ragione, che può fare  volte l'intuizione umana, quando vede una cosa che è ovvia, palese, ma che nessuno può dimostrare razionalmente.
Ci sono delitti che nessun giudice può giudicare, e ci sono assassini che nessun giudice può condannare. Ci sono assassini che avranno da fare i conti solo con Dio.

Il terzo maggio arriva nel 2014. E' un maggio di tristezza. Son passati due anni da che le giovani iene portarono il terrore in quella casa isolata. 
Lui, Mario, adesso è crollato. La miccia ha raggiunto ormai la sua mina e l'omicidio che non si può dimostrare è compiuto. 
La pussiera della paura ha fatto il suo morto.

Dove stanno adesso quei tre ragazzi che hanno avviato il delitto, quei giovani assassini a scoppio ritardato? Sono in prigione? Sono liberi? Lo sanno di aver ucciso qualcuno, di aver ucciso un innocente?
Non passano che poche settimane e anche lei, Maria, raggiunge il suo Mario. Addio.

Caro Michele, caro sindaco, mi aveva detto, qua non viviamo più.  
"Non viviamo più".

La seconda mina è scoppiata, dopo due anni il duplice omicidio s'è consumato del tutto, senza che nessuno lo possa affermare. E' un'opinione, infatti, non è una sentenza. Non c'è l'omicidio, non c'è l'assassino. Eppure...
"Assassini!" vien da urlare, ma poi ci si ferma, perchè la parola resta come annodata nella gola, perchè è vero, anche se sembra di esagerare, è così e si capisce... ma chi può dirlo? Nessuno!
E allora, che dolore, che malinconia!

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