venerdì 14 ottobre 2016

Osservazioni sulla Riforma della Costituzione

Alcune ragioni per votare NO al referendum del 4 dicembre 2016 sulla modifica della costituzione italiana.
Osservazioni circa la riforma costituzionale che il 4 dicembre 2016 sarà sottoposta al referendum popolare.


Vedi anche commenti agli articoli -->QUI







 

 

 

Votare No significa essere contrari al cambiamento?

No! 
Votare No significa semmai essere contrari al cambiamento della Costituzione così come esso è stato disegnato con questa specifica riforma
E' da stupidi scegliere un cambiamento se questo è peggiorativo rispetto alle cose esistenti
Prima di assumere una dato farmaco è bene essere ragionevolmente sicuri che non abbia a nuocere più dello steso male che si vorrebbe curare. Prima di gettare un liquido per spegnere un incendio è bene assicurarsi che esso non sia della benzina.
Votare No può significare al contrario la possibilità di avviare in tempi brevi l'iter di una riforma costituzionale migliorativa e condivisa. In senso federalista, per esempio.

 

Votare No significa essere inconsapevoli dei problemi del Paese?

No! 
Votare No significa soltanto ritenere che i problemi del Paese non vadano risolti nella direzione prospettata dai proponenti della riforma, ma in direzioni diverse. Direzioni sulle quali è bene riaprire il dibattito in modo più partecipato e costruttivo. Molti dei problemi che ha il nostro Paese, per i quali si propone la riforma con una soluzione, troverebbero invece una conferma e un aggravamento a causa della stessa e  curarli con i mezzi ordinari di uno stato democratico diventerebbe praticamente impossibile.

 

Votare No significa non conoscere il testo della riforma?

NO! Tutt'altro!
Votare No non vuol affatto dire ignorare il testo della riforma, così come votare Sì non vuol certo dire conoscerlo o averlo letto. Votare No può voler dire, al contrario, aver letto con molta attenzione il testo e aver capito che la riforma proposta è addirittura peggiorativa dei mali che affliggono la Repubblica Italiana.


Votare No significa solo "far cadere il governo Renzi"?

No!
Il No del 4 dicembre è rivolto allo stretto quesito referendario, non è quindi un No all'attuale governo di Renzi.  
Certo non si può negare che un No al referendum abbia anche un senso accessorio: è chiaro che un gruppo parlamentare che ha costruito una tale rifoma così pasticciata e pericolosa per il Paese, con il No deve prender atto di non meritare la fiducia degli elettori. Dunque, se di per sè  è scorretto affermare che il No del 4 dicembre sia solo un modo per far cadere il Governo e andare a nuove elezioni, è pur vero però che lo stesso esprima in modo incontestabile la sfiducia del popolo italiano nei confronti dell'attuale maggioranza e del suo esecutivo, e che per questo si debba tornare alle elezioni.

 

Il bicameralismo perfetto è un serio problema per il buon funzionamento dello Stato?

No! Il bicameralismo perfetto della Repubblica Italiana è accusato di rendere lunga e difficile la produzione delle leggi e di ostacolare il buon funzionamento dello stato. 
In realtà il Parlamento italiano ha dimostrato di essere piuttosto celere nell'approvare le norme, quando esse sono davvero volute dalla maggioranza politica. Basti pensare che la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio (modifica dell’articolo 81)  ha richiesto meno di quattro mesi di iter parlamentare. 
L'alta produttività legislativa italiana è, inoltre, dimostrata da fatto che il nostro Paese possiede e produce più norme di qualunque altro in Occidente.


Con la riforma si elimina il bicameralismo?

No!
Non si elimina il bicameralismo, semplicemente lo si trasforma da bicameralismo perfetto (cioè perfettamente simmetrico fra le camere che hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni) a bicameralismo imperfetto ossia asimmetrico, con una ramo parlamentare principale (la Camera dei Deputati) ed uno minore (il Senato degli Enti Territoriali). 
Il Senato, infatti, pure se snaturato e reso maggiormente complesso, sia per composizione che per funzionamento, rimane al suo posto. Le due Camere continuano come prima legiferare insieme su molte materie, anche se a ben vedere lo faranno in modo molto più confuso e molto più complicato. Tanto complicato da indurre a una maggiore conflittualità fra le due Camere e fra lo Stato centrale e le Regioni.  

E' pur vero che il nuovo Senato non vota più la fiducia all'esecutivo, cioè non ha più un controllo diretto sul Governo, ma ha un potere di «richiamo» delle leggi e deve essere consultato su materie di vitale importanza per il Governo, come la legge di bilancio. 


Con la riforma sarà più facile e rapido fare le leggi?

No!
Il procedimento legislativo, regolato dall'articolo 70, oggi ha oggi solo 4 "strade percorribili" per costruire le leggi; nel nuovo articolo 70 descritto nella riforma se ne prevedono addirittura da 8 a 10: dunque un numero più che doppio di possibili percorsi. La qual cosa non può che indurre a maggiori conflitti su quale sia quello più corretto da attuare
Anche dall’abolizione delle cosiddette "materie concorrenti" c'è da aspettarsi un deciso aumento dei conflitti (e dei conseguenti ricorsi) fra Stato e Regioni. 

Il citato articolo 70, relativo appunto al procedimento per l'approvazione delle leggi, oggi composto di sole nove parole, nella Costituzione riformata occuperebbe invece un'intera pagina tanto è lungo e complicato. Molti costituzionalisti lo hanno definito senza mezzi termini "un articolo di difficile lettura" anche per esperti di diritto. Non è una buona premessa per la pretesa semplificazione dello stato.




Con la riforma si garantisce il controllo dei cittadini sullo stato e sui politici?

No!
Il senato non sarebbe più elettivo, e dunque ben 315 rappresentanti eletti dai cittadini non esisterebbero più. O, volendo guardare la cosa da un altro punto di vista, i cittadini avrebbero ben 315 loro rappresentanti in meno per decidere sul bene di tutti. Se del risparmio economico che deriverebbe da tale diminuzione si può anche (separatamente) discutere, è però indiscutibile che i pochi parlamentari eletti (i deputati) si ritroverebbero nelle mani un potere di molto maggiore rispetto a quello attuale, e che diminuirebbe enormemente il peso di ciascun elettore nei confronti del suo rappresentante. 
Si noti bene che i cento senatori rimasti conserveranno comunque ampi poteri sul governo e sulle leggi, senza tuttavia avere alle spalle nè un'elezione diretta dei cittadini, nè una qualche forma di mandato popolare e neppure un vincolo di mandato territoriale da rispettare. In altre parole, i senatori sarebbero molto meno controllabili di quello che non sono oggi. Il che è tutto dire! 
Il vincolo del mandato territoriale obbligherebbe almeno i senatori a rappresentare i loro territori di provenienza, in modo da diventarne sostanzialmente dei portavoce e da garantirne gli interessi, ma tale vincolo di mandato è ancora espressamente proibito dalla stessa riforma.
Inoltre, parlando di democrazia, la riforma costituzionale non può prescindere dalla vigente legge elettorale. 
Con la legge attuale per esempio (l'Italicum), una lista che superi il 40% al primo turno ottiene il cosiddetto "premio di maggioranza"; quel 40% reale è potenziato ed aumentato tecnicamente tanto da trasformarlo per magia ed artificio in una sorta "maggioranza virtuale", una maggioranza che il Paese e il suo elettorato non hanno in verità mai votato. Peggio ancora: chi vince al ballottaggio, anche per un voto solo, governa grazie ad un autentico "premio di minoranza". In altre parole: una ristretta minoranza può contare in parlamento su un numero di parlamentari pari a quello che avrebbe avuto se davvero avesse ricevuto un ampio consenso popolare e, in virtù di quel numero falsato, imposessarsi di tutti i poteri dello stato. Alla faccia della democrazia.
In una tale situazione non è garantito neppure l'equilibrio fra i poteri costituzionali, poiché gli organi di garanzia dello stato (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) si trovano condizionati pesantemente da una maggioranza politica che è falsa e artificiosa, ma che è legittimata a comandare, essendo stata costruita con il "premio" di cui sopra.


Con la riforma il lavoro legislativo torna ad essere la prerogativa del Parlamento a garanzia dei cittadini?

No!
Mentre è prevista una "data certa" per l'approvazione dei disegni di legge governativi, ritenuti evidentemente prioritari, per le leggi di iniziativa parlamentare il tempo si fa incerto. Buona cosa, se pensiamo che le leggi non vanno sbrigate in fretta, ma vien da sè che il Governo, organo esecutivo e non legislativo, abbia tutte le possibilità di monopolizzare l'attività legislativa che invece spetta di per sè al Parlamento. La cosa è già in atto da diverso tempo: il Parlamento, infatti, da molti anni e su molti temi non fa che "inseguire" le attività legislative dichiarate "urgenti" del governo, ratificando o concedendo la fiducia all'esecutivo senza concretamente aver potuto discutere nel merito e nella forma le leggi del Paese. La presente riforma non fa che sigillare e confermare questa particolare anomalia antidemocratica.



Con la riforma si amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini?

No!
La riforma porta da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per presentare i disegni di legge di iniziativa popolare. In pratica si triplica la difficoltà che hanno cittadini a proporre delle leggi al Parlamento. Più difficile anche richiedere un referendum abrogativo per il quale le firme richieste aumentano da 500 mila a 800 mila.
Sulla possibilità di effettuare dei referendum propositivi è poi nebbia assoluta: a parte l'annuncio che si trova nel testo della riforma, non si leggono i dettagli essenziali che occorrono per capire se si tratti solo di una "pia intenzione" o di qualche cosa di più concreto di cui ragionare.



Con la riforma diminuiscono davvero i costi della politica?

No!
Non in modo serio almeno, e non in modo debitamente proporzionato con ciò che si perde sotto il profilo della funzionalità e della democraticità dello stato. In sostanza il gioco non vale la candela. 
I costi del Senato, per esempio, sono ridotti appena di un quinto, circa 50 milioni di euro per ogni esercizio annuale, questo perchè l'intero "palazzo" senatorio permane e permane intatto ovviamante il suo funzionamento. Il risparmio di circa una cinquantina di milioni è davvero una cifra irrisoria se pensiamo che per il solo "Patto per Firenze", Matteo Renzi, ex sindaco di quella città, ha annunciato un impegno dello stato di 2,2 miliardi da impiegare in opere pubbliche.
C'è chi dice che si sarebbe piuttosto potuto intervenire sui ben 630 deputati che non sui senatori che sono molti di meno. O che sarebbe bastato diminuire i vitalizi o le indennità del 10% o gli sprechi dei palazzi che sono sempre altissimi ed incontrollati.
A parte la voce "Senato" si fa fatica a trovare nella Riforma un reale motivo di risparmio sui costi della politica. E' peraltro sufficiente che ai deputati sia riconosciuto negli anni a venire un certo aumento di indennità o un nuovo beneficio accessorio o una maggiorazione del vitalizio per azzerare ogni risparmio ottenuto con la riforna del Senato, e stiamo pur certi che questo avverrà quanto prima.



Con la riforma saranno più responsabili i territori e più garantite  le autonomie?

No!
La riforma è fatta apposta per aumentare i poteri dello stato centrale a danno delle autonomie locali che vengono caricate di responsabilità, ma private di mezzi finanziari e di prerogative.
E' bene ricordare come la spesa pubblica di Regioni ed Enti Locali sia andata diminuendo in questi anni e in modo esponenziale, mentre, allo stesso tempo, lo stato centrale abbia aumentato a dismisura le proprie spese. A questo stato centrale sprecone e dissennato la riforma consegnerebbe maggiori risorse e maggiori poteri.
La riforma abbassa le Regioni tutte allo stesso livello: quelle virtuose come quelle tradizionalmente malgovernate, confermando, tuttavia, i privilegi delle sole Regioni e delle sole Provincie a statuto speciale, anche i privilegi straordinari di una Sicilia che nella storia ha ampiamente dimostrato di fare un pessimo uso della propria autonomia, a danno di tutti i cittadini italiani.
La diminuzione delle autonomie regionali (cosa già vista nella storia italiana) non potrà che favorire il ritorno del vecchio ingiusto assistenzialismo per i territori meno virtuosi, i cui costi gravosi saranno come sempre caricati sulle spalle dei cittadini e dei territori più operosi e meglio governati. In altre parole si prevede il ritorno di quel  centralismo burocratico che già si dimostrò fallimentare ed ingiusto dalla nascita dello stato italiano fino agli anni ottanta. 
Con la riforma, insomma, si mette al riparo chi peggio governa e chi meno lavora, confermando il vizio tutto italiano di deresponsabilizzare gli irresponsabili e di punire i cittadini virtuosi.
Ad aggravare la cosa un altro fatto: con la riforma si prevede che il governo centrale abbia  facoltà di intervenire su tutto il territorio italiano (fatte salve le autonomie speciali di cui sopra) imponendo alle comunità locali delle opere anche particolarmente impattanti, sotto l'etichetta pretestuosa del "prevalente interesse nazionale".



Con la riforma si garantisce la sovranità nazionale?

No! L'Italia progettata dalla riforma sinavvia a diventare una semplice "regione autonoma" dell'Unione Europea
La sovranità nazionale e popolare, ossia il potere del popolo italiano di determinare  le proprie leggi da se stesso in modo libero ed autonomo è già ad oggi un fatto più teorico che reale, ridotta e compressa com'è, tale sovranità, da una pletora di trattati internazionali che costringono lo stato a legiferare solo entro determinati confini prestabiliti. Non solo i trattati riducono di molto la sovranità popolare, ma, com'è noto, la riduce soprattutto l'appartenenza del Bel Paese all'Unione Europea. A ridurre la possibilità di un ritorno all'indipendenza degli italiani su modello inglese la riforma renziana dispone un nuovo articolo 117 che recita come segue:

"1. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall'ordinamento dell’Unione europea e dagli
obblighi internazionali.
"

Con questo articolo è di fatto sancita l'impossibilità per gli italiani di uscire dall'Unione Europea senza che vi sia prima una complessa modifica della costituzione. In altre parole viene sigillata la dipendenza dello stato italiano dalla UE.

 

La riforma renziana è ampiamente condivisa?

No! 
La riforma della costituzione di un paese democratico deve essere approvata e condivisa dalla maggioranza più larga possibile dei cittadini, idealmente perfino dalla totalità di essi.
Ora, è evidente invece che il risultato di questa riforma (dovesse mai passare), sarebbe la spaccatura in due del popolo italiano. Sì, perché questa è, al più, la riforma di una sola risicata maggioranza di cittadini. Si creerebbe pertanto con questa costituzione ristrutturata un'insanabile frattura fra gli italiani e proprio sulla legge fondamentale della Repubblica, sulla "legge delle leggi".
Questa per me è una ragione già più che sufficiente per votare in favore dell'attuale Costituzione, perché è senz'altro meglio stare fermi che fare "un passo avanti" verso l'abisso.


martedì 11 ottobre 2016

Riforma Costituzionale - commenti agli articoli

Questo articolo è in costruzione. 

Contiene commenti agli articoli del testo costituzionale come riformati che pubblico con l'avvertenza che si tratta di un lavoro in via di maturazione.
Grazie a chi mi vorrà leggere.








Nuovo art. 55 - Funzioni delle Camere
commento
Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
La discussa questione delle cosiddette “quote rosa” entra nella costituzione limitando di fatto la libertà di scelta dei cittadini.
Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione.

La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo.

Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali.
Qual è la natura espressa dal verbo rappresentare? In altre parole quale sostanza si deve dare al concetto di rappresentanza delle istituzioni territoriali, Regioni ed enti locali?
La presenza di un solo sindaco per ciascuna regione,  può davvero soddisfare la presunta rappresentanza delle istituzioni territoriali?
Si tenga presente che (come ancora recita il nuovo art. 67) i membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato: da ciò consegue che sia espressamente negato anche un qualsivoglia vincolo di mandato legato alla rappresentanza territoriale. In altre parole, il senatore eletto da una Regione potrebbe, di fatto, non sostenere gli interessi dell’ente regionale che lo ha eletto.
Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l'Unione europea.
Il comma è quantomai fumoso.
Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea.
Il comma pare piuttosto vago.
Concorre alla valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni, alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato nonché all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Il Senato è chiaramente ridotto ad un organo di valutazione e di controllo sulle pubbliche amministrazioni (territoriali?) e sottrae ruolo e dignità a queste ultime, Regioni in testa. Non vi è forse il rischio che il Senato diventi un semplice organo di coordinamento per l’attuazione di politiche stabilite in altri luoghi?








Nuovo art. 57 - Composizione ed elezione (indiretta) del Senato
commento
Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
La presenza dei senatori nominati dal presidente della Repubblica (vedi nuovo art. 59) e degli ex presidenti della Repubblica appare quanto mai fuori luogo in una camera che debba rappresentare le istituzioni territoriali (vedi nuovo art. 55)
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori.
Si legga bene: i Consigli Regionali e i Consigli delle Provincie autonome eleggono i senatori, riservando anche ad un sindaco di loro gradimento la nomina in senato.  Va da sé che un solo comune del territorio avrà, e non per scelta dei suoi cittadini né tanto meno per scelta dei cittadini degli altri comuni, un sindaco-parlamentare a Roma.
E’ inevitabile ritenerla una forma discriminatoria di elezione, come pure è inevitabile chiedersi di quale utilità possa essere un sindaco nominato senatore non dai sindaci suoi colleghi, e men che meno dai cittadini, ma dai dei consiglieri regionali. 
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Anche questa volta vi sono discriminazioni fra cittadini dello stesso Paese: derogando dal principio di proporzionalità sotto enunciato le provincie di Trento e di Bolzano esprimono a priori quattro senatori.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti.
Non si può non rilevare la costante “liquidità” del Senato la cui geometria politica è soggetta a cambiamenti pressochè annuali.
Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.






Nuovo art. 59 - Senatori di nomina del Presidente della Repubblica
commento
È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
La figura dell’ex Presidente della Repubblica, quale senatore a vita, nel quadro di una “camera delle istituzioni territoriali”, appare quanto mai fuori luogo.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Tali senatori durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati.
Non viene cancellata la figura del senatore nominabile dal Presidente della Repubblica, che è una figura a carattere onorario, e tuttavia oneroso in quanto dotata di “benefici economici”  ed è influente sui lavori del parlamento, essendo dotata di diritto di voto pur non essendo legata a un voto popolare e, in questo caso, neppure delle istituzioni territoriali. 

Nuovo art. 63 - Cariche interne delle Camere
commento
Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di presidenza.

Il regolamento stabilisce in quali casi l'elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione
dell'esercizio di funzioni di governo regionali o locali.
Già si prevede in modo esplicito che la carica di consigliere regionale o di sindaco possa costituire un motivo di limitazione per il pieno espletamento del ruolo di senatore. Il nuovo senatore nasce con un esplicito handicap potenziale.
Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l'Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati.
Si coglie la subordinazione del Senato rispetto alla Camera dei Deputati.




Nuovo art. 64 - Minoranze parlamentari (della Camera dei deputati); dovere dei parlamentari di partecipazione ai lavori
commento
Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari.

Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni.
Non si prevede che possano formarsi schieramenti di opposizione organiche all’interno del Senato
Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta.

Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.

I membri del Governo hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.
I membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell'Assemblea e ai lavori delle Commissioni.




Nuovo art. 66 - Titoli di ammissione dei componenti del Senato della Repubblica
commento
Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.

Il Senato della Repubblica prende atto della cessazione dalla carica elettiva regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore




Nuovo art. 67 – vincolo di mandato
commento
I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato.





Nuovo art. 69 - indennità parlamentare
commento
I membri della Camera dei deputati ricevono una indennità stabilita dalla legge.
Per i membri del senato non è prevista una indennità.



Nuovo art. 70 - procedimento legislativo
commento
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali e solo per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.
L’articolo 70 nella Costituzione vigente recita semplicemente:
“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.”
Nella riforma si propone al suo posto un articolo complesso e chilometrico la cui lettura offre la visione della complessità non minore del processo legislativo che si andrebbe a realizzare.
Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.

Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata L'esame del Senato per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, comma quarto, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.

I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.

Per tali disegni di legge le disposizioni di cui al comma precedente si applicano nelle medesime materie e solo qualora il Senato della Repubblica abbia deliberato a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.
Il senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati.



Nuovo art. 71 – iniziativa legislativa
commento
L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.
Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all'esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all'esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica.

Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno centocinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli. La
discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d'iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari. Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione.
Aumenta in modo enorme il numero di elettori necessario per poter avviare una iniziativa referendaria. In tal modo si tende ad ostacolare se non ad impedire ai cittadini di proporrre in modo organizzato e autonomo un referendum su temi di grande importanza.
Il testo attualmente vigente recita semplicemente: “Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”






Nuovo art. 77 - Disposizioni in materia di decretazione d'urgenza.
commento
Il Governo non può, senza delegazione disposta con legge, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
La citata “delegazione disposta con legge”, essendo per sua stessa natura non occasionale, ma duratura, comporta di fatto una delega all’organo esecutivo della funzione legislativa, in modo permanante o semi permanente, ancorchè limitata solo a determinati ambiti tematici.  Si pone perciò il problema di come sia possibile arginare l’espandersi dello spazio di autonomia legislativa da parte del governo, soprattutto considerando che tale meccanismo di delegazione per legge va ad assommarsi al già consolidato metodo del voto di fiducia, metodo che così ben si è dimostrato essere stato efficace in questi anni nel sottrarre la legiferazione al vero lavoro parlamentare.
Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alla Camera dei deputati, anche quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere. La Camera dei deputati, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni.
Questa, che a prima vista appare come una limitazione dei poteri del Governo in campo legislativo, in realtà costituisce una valida sponda per spingere il Parlamento, mosso dalla necessità di interventi emergenziali, a disporre con legge le delegazioni di cui al comma precendente. Ciò è evidente, non avendo altro modo il Parlamento per permettere al governo di provvedere in via d’urgenza con dei decreti. Il governo alla fine si troverebbe provvisto di una serie di disposizioni di legge atte a delegarlo su molti argomenti, tanto da rendere pressochè obsoleto perfino il ricorso al voto di fiducia.  
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione o, nei casi in cui il Presidente della Repubblica abbia chiesto, a norma dell'articolo 74, una nuova deliberazione, entro novanta giorni dalla loro pubblicazione. La legge può tuttavia regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Le limitazioni esposte da qui in poi non cambiano la sostanza di quanto detto sopra, se non in maniera superficiale.
Il Governo non può, mediante provvedimenti provvisori con forza di legge: disciplinare le materie indicate nell'articolo 72, quinto comma, con esclusione, per la materia elettorale, della disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni; reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; ripristinare l'efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.

I decreti recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

L'esame, a norma dell'articolo 70, terzo e quarto comma, dei disegni di legge di conversione dei decreti, è disposto dal Senato della Repubblica entro trenta giorni dalla loro presentazione alla Camera dei deputati.
Le proposte di modificazione possono essere deliberate entro dieci giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione, che deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione.

Nel corso dell'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.


Nuovo art. 80 - Autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
commento
La Camera dei deputati autorizza con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea sono approvate da entrambe le Camere.
Alle due camere, ricordando il carattere non elettivo del Senato, viene dato di autorizzare i trattati relativi all’appartenenza del Paese all’UE. Il resto dei trattati internazionali che, è giusto ricordarlo, sono di fatto delle vere e proprie cessioni di sovranità popolare, è lasciato alla sola camera dei deputati. Anche qui è bene ricordare che con il sistema elettorale maggioritario e con annesso “premio di maggioranza”, la camera dei deputati può essere dominata da una maggioranza artificiosa rappresentante cioè una stretta minoranza degli elettori. La qual cosa comporta il fatto che, con un minimo di consenso elettorale con tali artifici potenziato, una pseudomaggioranza parlamentare può concretamente cedere sovranità popolare senza difficoltà.

Nuovo art. 83 - Procedimento di elezione del Presidente della Repubblica.
commento
Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea.
È previsto di sopprimere il testo che recita: “All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato.”
Va ricordato che il nuovo Senato non prevede al suo interno una espressione delle minoranze. E’ dunque evidente che l’elezione del Presidente della Repubblica subisca una diminuzione nel suo gradiente di democraticità, laicità ideologica ed universalità.
Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Si prevede una facilitazione nell’elezione dei Presidente della Repubblica: dopo il settimo scrutinio avendo tirato artificiosamente il voto per le lunghe, una sparuta minoranza: la maggioranza dei tre quinti (non “almeno” tre quinti) dei votanti, (cioè dei presenti al voto) può eleggere il Capo dello Stato