giovedì 12 febbraio 2015

L'ira del sindaco di Lampedusa

"L'ira del sindaco di Lampedusa" è il titolo dell'intervista di Mauro Pigozzo a Giusi Nicolini sul Corriere del Veneto di oggi. 
Giusi Nicolini sindaco modello
Giusi Nicolini dalla sua bella Lampedusa spara contro i sindaci del Veneto: «Basta uscire ciniche ed egoiste, al nord solo il 6% dei profughi»

La candidata al premio Miglior sindaco del mondo 2014 è forse un po' provata dai più recenti fallimenti di Triton, l'operazione europea che ripropone la vecchia politica dell'Africa in Giardino. Come spiegare altrimenti lo sproloquio pontificale della Giusi? 
Uno sproloquio, sì, ma che le frutta non pochi apprezzamenti visto che ha ricevuto anche quello (da lei vantato su Face book) della massoneria italiana. Stefano Bisi, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, nel conferirle l'onorificenza massonica ‘Galileo Galilei’ l'avrebbe definita: "una donna coraggiosa, che fa con naturalezza un gesto che altri non fanno: non respinge nessuno" e l'avrebbe pure chiamata "simbolo di pace". Un po' come la colomba di Picasso, il che ci strappa un bel sorriso.

Tornando allo sproloquio della Nicolini. Il sindaco lampedusano in odore di laica santità tiene cattedra ai sindaci del Veneto, me compreso. Alza l'indice e, ammaestrando le folle, dice dei colleghi del Nordest: «Non devono guardarci come un pericolo, noi siamo quelli che salvano le vite. Ma a loro dico anche che è drammatico il dato secondo il quale dei 160.000 profughi arrivati nel 2014 solo il 6% è stato ospitato nelle regioni del Nord Italia».
Fin troppo ricordare alla beata Nicolini da Lampedusa che le regioni del nord, quelle che lei sta sbacchettando, da più di un secolo sono impegnate senza sosta nel mantenere le loro consorelle meridionali. Consorelle sprecone e fisiologicamente in rosso, come la sua bella Sicilia che, per esempio, ha uno statuto più che speciale e ha deputati regionali strapagati (da 11.100.00 € lordi al mese) al posto dei normali consiglieri. E ancora che ad oggi è il nord "xenofobo ed egoista" che ospita il maggior numero di stranieri in Italia, e non il sud, non la Sicilia, come vorrebbe farci credere. 

La quasi miglior sindaco del mondo prosegue il suo sermone ai discepoli del Veneto: «Serve migliorare l'accoglienza, aprire le porte. E sono sicura che se ci fossero tre o quattro nigeriani o senegalesi in più per Comune veneto, ciò rappresenterebbe una ricchezza più che un problema»
"Ma certo", dice un sindaco veneto (non io) "avere un "tre o quattro nigeriani" come John Paul Boi, è una ricchezza, ma avere "tre o quattro... ghanesi" come il mitico Adam Kabobo l'uomo dal piccone facile che tipo di ricchezza è?" 
Comunque la beata Nicolini si dice "sicura" che i profughi e i clandestini sono una ricchezza, tanto che mi viene di farle sottoscrivere di suo pugno o a nome dei suoi cittadini, un assegno da un milione di euro per ciascun profugo che dovesse arrivare nel mio comune, un milione di euro come garanzia per i miei elettori, casomai si dovesse scoprire un domani che la ricchezza ospitata è del tipo Kabobo e non di quello John Paul Boi.
Ma poi, se la Nicolini è così tanto convinta di questa ricchezza, perché mai noi del nord, così poco generosi e ospitali, dovremmo sottrarla alla bella e solare Sicilia, alla sua dolce Lampedusa?

E per accogliere e ospitare i clandestini e i profughi veri (ce ne sono!) o fasulli che siano, signora Nicolini, che si fa? «Apriamo le caserme e gli immobili pubblici che oggi sono chiusi...» dice la guru dei sindaci ospitali.
Eh già, pensa che bello: creiamo fortezze, concediamo palazzi, facciamo dei "campi di concentramento o dei ghetti, diamole alle cooperative che gestiscono in modo assai discutibile la cosiddetta accoglienza, e non diamo una casa ai residenti che la cercano da una vita, né agli italiani né agli stranieri residenti. E che sarà mai?

Poi dice ancora:
«Sono contraria ai grandi centri di raccolta, invece accogliamo i profughi in piccole comunità dove possano integrarsi nei paesi» 
E' poesia allo stato puro! E' un piacere stare a sentirla: "accogliamo" ... "piccole comunità" ... "integrarsi nei paesi". Certe parole sembrano violini... 
Quasi quasi ti dimentichi, in questo autentico concerto di buoni sentimenti, tu piccolo e gretto sindaco della montagna veneta, che per i tuoi cittadini la sanità sta diventando sempre più cara (tanto che temi che fra un po' non se la potranno più permettere), e che non sai come aiutare chi ha da pagare le bollette e non ha soldi per farlo (italiano o straniero che sia non importa), o chi non ha più un posto di lavoro (italiano o straniero che sia), e che non sai come integrare le rette per le case di riposo o per le comunità dei minori.... 
La simpatica, generosa Nicolini ti mostra la Via, e tu quasi ti dimentichi che ai tuoi cittadini quella via, così lastricata di ottime intenzioni, verrebbe a costare la camicia e ben di più.

«E' impossibile fermare gli arrivi» dice ancora la papessa lampedusana, e ci conferma che l'Africa intera secondo lei è destinata dal Fato e dai Numi a scalzare gli italiani ottusi dalla terra dei padri. Largo all'Africa che arriva! 
Ma perché? La migrazione non è una fortuna per chi migra. E' piuttosto uno strappo con la propria vita. E' un impoverimento per la sua terra, ed è fonte di disagio anche per le popolazioni ospitanti. Insomma perché favorire la migrazione di massa invece dei meno onerosi progetti di sviluppo? 

Arriva poi il delirio più bello della Nicolini. Dice, sempre  col dito alzato del profeta:
«Registriamo uscite ciniche e egoistiche come quelle di Zaia o del sindaco di Padova Massimo Bitonci. Ma non hanno legittimità etica e politica, quei due dovrebbero fare un altro mestiere. La politica si occupa degli altri, è negazione dell'egoismo.»
Impossibile non fare, alla maestrina di Lampedusa, una critica un po' più diretta. Signor sindaco, guardi che le manca totalmente l'ABC della democrazia. Come sindaco Lei dovrebbe sapere che sia Zaia sia Bitonci sono stati eletti con libere elezioni democratiche, come Lei, e che pertanto come Lei sono l'espressione libera e democratica di un certo elettorato. Saprà, si spera, che i rappresentanti democratici di un elettorato hanno piena legittimità etica e politica. Certo, se Lei, sindaco Nicolini,  non avesse ben chiaro (come sembra) neppure il concetto di democrazia, forse  Lei stessa dovrebbe cambiar mestiere, e non i veneti. La politica è occuparsi degli altri, Lei dice, certo che lo è, ma è prima di tutto "occuparsi dei propri elettori", e non "di tutti gli altri...a spese dei propri elettori".

La Nostra prosegue mostrando la sua vena più acida:
«L'Italia è più Lampedusa che Padova.»
«Atteggiamenti come questi (di Zaia e di Bitonci) minano la solidarietà interna ad un Paese e la sua dignità. Il razzismo e la xenofobia sono patologie, e io mi arrabbio da lampedusana perchè sono esclusa dalla loro visione di Paese, dalla loro idea di comunità. Andiamo in Europa a dire che il Mediterraneo è una risorsa per tutti non possiamo erigere confini interni.»
Già, la "sua" Italia, l'Italia della Nicolini, è più Lampedusa che Padova, e a ben guardare, per come vanno le cose in questo Paese un po' da sempre, c'è davvero da crederle. C'è da credere che non sia il Nordest, lavoratore e responsabile, ma la simpatica e caliente Sicilia del Gattopardo, il modello italiano più rappresentativo. Il che suggerirebbe ai veneti, come sostiene Zaia, il fatto di uscire al più presto da una siffatta italianità, nella quale essi sono dei veri e propri "fuoriposto".

"Andiamo in Europa a dire che il Mediterraneo è una risorsa per tutti, non possiamo erigere confini interni." dice infine la fantastica  politica lampedusana. E anche qui lei ha ragione: smettiamola di dire che il Mediterraneo è una risorsa per tutti! Smettiamola, e dedichiamoci piuttosto a salvare la nostra terra settentrionale, che sarà pure egoista e xenofoba (come dice lei), ma che se non si rialza non potrà più mantenere né Lampedusa, generosa santa isola della Nicolini, né la Sicilia coi suoi generosissimi xenofili abitanti, né, infine, tutti i profughi che la massonica Nicolini vorrà attirare ed ospitare nei prossimi vent'anni a casa... nostra.

Quanto a me, lungi dall'ambire al titolo di miglior sindaco del mondo o dal desiderare riconoscimenti massonici di alcun tipo, mi accontento di difendere dalle grinfie dei "generosi-coi-soldi-degli-altri", i miei bravi cittadini.

Omicidio a scoppio ritardato

Certi delitti sono come le mine, come le bombe della miniera, hanno la miccia lunga lunga che qualcuno l'accende e poi se ne va per non sentire neppure il botto. E scoppiano quasi da sole quelle mine, quasi senza fartelo sapere, ma quando scoppiano si sa che per qualcuno è finita. 
Certi delitti sono come la pussiera, la bastarda malattia che ti prendevi in Belgio quando andavi dentro un buco nero di  carbone per guadagnarti la vita, e intanto però ti guadagnavi la morte. O come l'uranio impoverito che buttavano da cielo i liberatori della vecchia Jugosavia negli anni novanta, o come l'amianto di Casale Monferrato.

Certi delitti partono timidamente, con una scintilla iniziale, come fa la miccia a cui qualcuno ha dato fuoco. Qualche articolo di cronaca, un po' di sdegno e nulla più. 
Il morto non ci scappa, non subito almeno, e lì per lì magari è "solo" una rapina, un reato mostruoso sì, daccordo, ma senza il sangue che serve, senza l'orrore che ci vuole per occupare la prima pagina del giornale.

E' la primavera del 2012, il 4 di maggio. Una coppia di anziani sta lì nella sua casa a tirare avanti il suo tran tran di ogni giorno, a macinare il mestiere di una vita.  E' una sera come un'altra.
La casa è di quelle che stanno fuori frazione, ahimè, ahiloro, è una casa isolata! La cucina sa di povera intimità, come una volta, la tavola in mezzo con le sue brave careghe, in un angolo la stufa, e poi il secchiaio, le chicchere buone nella credenza per offrire il caffè quando qualcuno viene a trovarci. Fuori c'è la legnaia, l'orto è appena un po' più in là. 

Non sanno i due che in quella sera di maggio così tranquilla, così uguale a tante altre sere, sta arrivando per loro un fantasma spaventoso. Non sanno che qualcuno fra poco accederà la miccia che porrà fine, di lì a pochi mesi, alla loro esistenza terrena.

Sono le sei di sera, tre giovani iene si avvicinano alla casa di Mario e di Maria, sono tre ragazzi di  origine straniera.
E' tutto molto svelto, tutto molto confuso, tutto tremendo. I tre delinquenti sequestrano i poveri ottentenni, legano lui nella legnaia, lei la lasciano svenuta dal terrore là in cucina, coi segni del coltello che le arrossano la gola. 
Il sequestro di persona e la rapina fruttano ai tre delinqenti la cifra di duecento euro, una fede nunziale, e la colpa di un omicidio a scoppio ritardato.

Tanto siamo minorenni - pensano i tre - e ci va liscia.

La miccia è stata accesa. Un fantasma è andato ad abitare in quella casa: l'orribile  fantasma del terrore. 
Sì, i tre delinquenti se ne sono andati, poi li arresteranno i bravi carabinieri del Feltrino, ma intanto il fantasma del terrore si è insediato, ed è come uno di quei mali che nessuno sa guarire.

Come state? Chiedo io.
Eh, cosa vuoi Michele, siamo sempre qua pieni di paura. - Risponde la Maria - Non si dorme più, non si sta più come prima... si ha sempre paura. Sempre.

La miccia brucia nel segreto di quella casa, nascosta come la pussiera nei polmoni, come l'amianto che ti rode e non perdona. 
Passano i mesi, e la risposta è sempre quella: Caro sindaco, non viviamo più, la paura è ancora tanta. 
Da quella risposta io capisco che il fantasma non se n'è andato e non se ne andrà da quella casa prima di aver compiuto il suo lavoro.

La miccia continua a bruciare, non importa se il giudice terrà in galera o no chi l'ha innescata in una sera di maggio.

Maggio ritorna, dopo dodici mesi con quel fantasma che ancora tormenta le sue povere vittime.

Ci sono delitti che nessun giudice potrà mai giudicare, delitti dalla natura infida come una malattia, come un tumore che lavora pian piano e non si mostra. Ci sono delitti che agiscono come veleni dell'anima, veleni che uccidono senza che la ragione o la scienza lo possano mai dimostrare. 
Collegare la morte di qualcuno ad una causa, a quella causa, è una cosa che non sempre sa fare la ragione, che può fare  volte l'intuizione umana, quando vede una cosa che è ovvia, palese, ma che nessuno può dimostrare razionalmente.
Ci sono delitti che nessun giudice può giudicare, e ci sono assassini che nessun giudice può condannare. Ci sono assassini che avranno da fare i conti solo con Dio.

Il terzo maggio arriva nel 2014. E' un maggio di tristezza. Son passati due anni da che le giovani iene portarono il terrore in quella casa isolata. 
Lui, Mario, adesso è crollato. La miccia ha raggiunto ormai la sua mina e l'omicidio che non si può dimostrare è compiuto. 
La pussiera della paura ha fatto il suo morto.

Dove stanno adesso quei tre ragazzi che hanno avviato il delitto, quei giovani assassini a scoppio ritardato? Sono in prigione? Sono liberi? Lo sanno di aver ucciso qualcuno, di aver ucciso un innocente?
Non passano che poche settimane e anche lei, Maria, raggiunge il suo Mario. Addio.

Caro Michele, caro sindaco, mi aveva detto, qua non viviamo più.  
"Non viviamo più".

La seconda mina è scoppiata, dopo due anni il duplice omicidio s'è consumato del tutto, senza che nessuno lo possa affermare. E' un'opinione, infatti, non è una sentenza. Non c'è l'omicidio, non c'è l'assassino. Eppure...
"Assassini!" vien da urlare, ma poi ci si ferma, perchè la parola resta come annodata nella gola, perchè è vero, anche se sembra di esagerare, è così e si capisce... ma chi può dirlo? Nessuno!
E allora, che dolore, che malinconia!

mercoledì 11 febbraio 2015

Stacchio: il non-vile di Nanto

«Un uomo che uccide un altro uomo non possa essere considerato un eroe... non volevo uccidere»
Lo dice Graziano Stacchio, il benzinaio di Nanto che ha sparato alle gambe di un delinquente che stava compiendo l'ennesima rapina nel suo paese.
 Non è un eroe?  Magari no. 
Eppure, anche se lui è il primo a rifiutare per se stesso quel titolo altisonante da cinemascope, c'è nella sua figura qualche cosa che si oppone decisamente alla corrente dei più, alla logica imperante del "fatti-i-fatti-tuoi". 
Stacchio è appena un mite che si arrabbia, è uno che si ribella (per una volta nella sua vita) alla prepotenza armata di chi invece la violenza la usa in modo abituale, è un protettore dei disarmati e lo è però in modo del tutto fortuito. Potremmo definirlo un Eroe per caso, se lui non avesse, appunto, rifiutato l'appellativo di eroe.
Stacchio di certo non è un vendicatore solitario, non un pistolero da Spaghetti Western, uno sceriffo Wyatt Earp delle Venezie,non è nemmeno un giustiziere della notte alla Charles Bronson. Insomma, Sracchio è solo un benzinaio come tanti, ma è uno che non fugge quando la nave che affonda, uno che impegna con un tragico gesto la sua vita per difendere quella degli altri.
Daccordo, Graziano Stacchio non è un Salvo D'Acquisto (la vita che è stata stroncata non è la sua), ma non è neppure quel Francesco Schettino della Costa Concordia che tanto ci ha fatto vergognare per la sua viltà. Lui, Stacchio, non è fuggito. Ha accettato di combattere contro chi minacciava con le armi la vita altrui. Anche la sua vita ora è terribilmente cambiata per quel gesto, un gesto che vilmente poteva rifiutare. 

Quel mite benzinaio in fondo non voleva far altro che salvaguardare la tranquilla esistenza di un paese, e la vita di altri miti come lui.

giovedì 5 febbraio 2015

ULSS unica no (neppure a Feltre)

Rispondo a Giacomo Deon, presidente di Confartigianato Belluno, che dalla pagina web di Bellunopress-Dolomiti propone l'unificazione delle ULSS di Feltre e di Belluno, la cui sede amministrativa egli concederebbe a Feltre.

Egregio presidente, 
Lei metterebbe a Feltre la sede dell'ULSS unica provinciale, bontà sua, ma che cosa cambierebbe infine per la sanità reale, per i servizi sociosanitari ai cittadini? I difetti congeniti e inevitabili dell'ULSS unica non sarebbero forse gli stessi, non si avrebbe forse una graduale diminuzione dei servizi nel Feltrino, e una saturazione di quelli del Bellunese con file inusitate, e una crescente marginalizzazione del Cadore e dell'Agordino?

Perchè prevedere un calo qualitativo e quantitativo dei servizi?

Perchè è questo che ci ha mostrato l'annessione già avvanuta delle ULSS del Cadore e dell'Agordino a quella bellunese. E perchè è questo il vero risparmio che si vorrebbe raggiungere, e non certo la diminuzione di qualche semplice stipendio dirigenziale o impiegatizio, per alto che sia.

E perchè i servizi calarebbero proprio sul Feltrino? Perchè il Feltrino è un territorio decentrato rispetto alla provincia di Belluno (che è stata assemblata da Napoleone appunto attorno alla città di Belluno). Va da sè che la periferia debba perdere di peso.
L'amministrazione unica, per sua stessa natura, sarebbe portata a sacrificare i servizi sull'area feltrina, con buona pace dei santi propositi di chiunque e dei pezzi di formaggio tesi ad esca degli ingenui.


 L'unificazione "È’ un fatto organizzativo - Lei dice -  che renderà efficiente il sistema sanitario provinciale, da non confondere con i servizi e la rete degli ospedali che deve essere sempre più qualificata." E però questa sempre più qualificata rete di ospedali e di servizi come si garantirebbe? Da quale miracolosa virtù dovrebbe mai scaturire, dato che un solo apparato amministrativo sarebbe tutt'altro che più agile ed efficace?
"A chi giova il mantenimento di apparati?" lei chiede. E io Le dico giova ai territori che possono servirsi di quegli apparati per garantire i servizi. Ma Lei incalza: "A chi giova garantire, nonostante, tutto i livelli del servizio sanitario locale?" 
Ai malati, ecco a chi giova! Giova ai malati della provincia, e soprattutto ai meno abbienti. E scusate se è poco.

A margine del mio no all'unificazione delle ULSS voglio ricordare a chi mi legge, 
che il solo consiglio comunale di Agrigento è costato ben due milioni di euro in sei anni. Due milioni di Euro il solo Consiglio comunale e nell'arco di un mandato o poco più. 
Voglio ricordare a chi mi legge, che il Quirinale è costato, nel solo 2013, la bellezza di 352.606.518,00 euro.
E che lo stipendio di un assessore regionale calabrese, ancora nel 2012, contava la bella cifra di 10.729 euro netti al mese. 
E, infine, che un deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana porta a casa ogni mese più di 11.100.00 euro lordi, e li ritiene anche pochi.
Questa è l'Italia! E da Feltre e da Belluno si ha il coraggio di pretendere pure l'unificazione delle ULSS in nome della virtù...



Segue l'articolo

Una Ulss unica? Deon: “Sì, facciamola a Feltre”

feb 5th, 2015 | By | Category: Riflettore, Sanità 

Unire le ULSS di Belluno e Feltre? Giacomo Deon, presidente di Confartigianato Belluno, dice sì e anzi ne propone una sola a Feltre.
“È’ un fatto organizzativo – spiega così la Sua idea il presidente Deon – che renderà efficiente il sistema sanitario provinciale, da non confondere con i servizi e la rete degli ospedali che deve essere sempre più qualificata.
Lo abbiamo detto nella lettera aperta inviata nelle scorse settimane alla presidente della Provincia, Daniela Larese Filon, ora c’è lo ridice la Regione. E’questo il momento di decidere – prosegue Giacomo Deon – di fronte ai tagli di bilancio i Bellunesi non possono far finta di niente e nascondere la testa sotto la sabbia.
A chi giova il mantenimento di apparati ? A chi giova garantire, nonostante, tutto i livelli del servizio sanitario locale ?
Bellunesi, decidiamo – è l’invito di Deon – se le istituzioni locali non lo fanno, troviamo altre forme: gli Stati generali come da molto tempo come Associazione stiamo proponendo di organizzare”.

martedì 3 febbraio 2015

ULSS unica: un no ponderato


26 gennaio 2011 alle ore 17.55

Il no all'ULSS unica bellunese  non è un 'no a priori'... è un no ragionato, ponderato.
La domanda potrebbe essere questa: dopo la soppressione dell'ULSS n. 2 (che sarebbe in tutto simile a quella già sperimentata con le ULSS agordina e cadorina accorpate a suo tempo in quella di Belluno) che scenario avremmo davanti agli occhi?
Certamente avremmo meno primari, dal che consegue  inevitabilmente, a qualche ora, meno reparti e meno posti letto, e meno servizi, sia nel complesso dell'ULSS provinciale, sia soprattutto a Feltre, che diverrebbe l'anello debole del sistema. Meno reparti e meno servizi sono poi anche una minor occupazione, nonchè una minor qualità delle prestazioni. Lo scenario sarebbe un gorgo insomma, senza risalita.
Se qualcuno, a buona ragione, potesse smentire questo triste scenario, e se lo potesse fare con cognizione di causa, io ne sarei più che lieto.
In quel caso io stesso proporrei di istituire un'ULSS unica veneta, che vada da Rovigo a Cortina e da Caorle a Verona.
 
Dalle ultime cosiddette 'razionalizzazioni' e dagli ultimi cosiddetti 'riordini' nel settore pubblico che cosa abbiamo imparato? Che le scuole sono andate migliorando con la soppressione dei plessi e con la riduzione delle classi e degli orari? Che le ferrovie, tolte le corse e chiuse le piccole stazioni, sono diventate meno costose e più puntuali e pulite di prima? Che le poste razionalizzate, sono decisamente migliorate sotto ogni aspetto? Abbiamo imparato che da quando la pretura di Feltre è stata soppressa è diventato più celere l'iter delle cause?

Il no all'ULSS unica bellunese non è un no 'a priori', ideologico, anzi! Ideologico è piuttosto insistere così, a priori, sulla strada dell'unire ad ogni costo.

De profundis per la sanità feltrina?


25 gennaio 2012 alle ore 17.17

E' in corso un attacco massiccio contro l'ULSS di Feltre. 
Pare che per salvare la sanità della montagna veneta non ci sia altro da fare che costituire una unica ULSS provinciale con sede a Belluno, un'ULSS gigantesca, spropositata, di sessantanove comuni, estesa per ben 3.678 km² e abitata da circa 213.500 persone, più o meno sparpagliate fra le valli e le vallate.

L'attacco viene dai media locali, viene dai sostenitori del risparmio sulla sanità (si vede che per loro è meglio risparmiare sulla salute che sulle rotonde stradali); l'attacco viene da chi vuole avocare tutta la sanità provinciale all'ULSS numero 1 (che ovviamente fa rima con Belluno).


L’U.L.S.S. n. 1 fu costituita dalla L.R. 14/9/1994 n. 56 (con decorrenza effettiva dal 1 gennaio 1995) accorpando le tre Unità precedenti: l'ULSS n. 1 del Cadore con sede a Pieve di Cadore, la  n. 2 Agordina con sede ad Agordo e la n. 3 detta “Bellunese - Alpago - Zoldano” con sede a Belluno. 
A distanza di meno di vent'anni come stanno le zone del Cadore e dell'Agordino in fatto di sanità? Sono soddisfatti i cittadini? Sono migliorati i servizi? E l'ULSS di Belluno è a posto coi suoi conti? Gode davvero di ottima salute?

Stando alle teorie degli unificatori oggi Feltre dovrebbe invidiare la prosperità di quelle zone, l'efficienza dei servizi, l'efficacia degli interventi. E l'Ulss di Belluno dovrebbe apparire forte e inossidabile. Ma allora perché i cadorini e gli agordini vanno  protestando a Venezia? Ma allora perché Belluno dovrebbe aver bisogno dell'Ulss feltrina per stare in piedi?

Dispiace forse a costoro che Feltre ancora non goda appieno dello status vantaggioso di accorpati

Io credo che i fatti abbiano ormai ampiamente dimostrato che cosa voglia dire nella concreta realtà 'unificazione delle ULSS': altro non è che un danno per tutti. 
Ora, può anche darsi che chi propugna la chiusura dell'ULSS di Feltre abbia in mente di salvare Belluno da certi suoi disagi scaricandoli sul Feltrino, ma è più che legittimo dubitare che pensi seriamente al bene dei feltrini e dei bellunesi stessi.


Se ne ricordino bene i feltrini quando sarà loro chiesto, come sempre, di dichiararsi uniti a questa napoleonica provincia di Belluno. Si ricordino che da Belluno s'è alzata più di una voce per chiedere il trasferimento della sede universitaria da Feltre a quella città, coi risultati che poi si sono visti. Si ricordino che da Belluno s'è alzata più di una voce per chiedere la fine della Ulss feltrina.


Chi crede che questa terra debba poter diventare un giorno una provincia dolomitica autonoma sappia fin da subito che ragionare in termini di castrazione del Feltrino, al fine di difendere a priori i vantaggi del capoluogo, è minare la basi stesse di ogni futura concordia. La concordia, infatti, non si costruisce mai coi soprusi. Né è giusto e corretto scaricare ogni frustrazione di un capoluogo sui territori della sua provincia.

ULSS unica...Un problema (anche) di democrazia



27 gennaio 2011 alle ore 13.13

Non tutti sono daccordo ad istituire una ULSS unica in Provincia di Belluno, né con le parole né coi fatti, né a destra né a sinistra, e per fortuna!
Ma c'è chi la vuole. C'è chi vorrebbe 'garrottare' la sanità feltrina, ed è più che altro chi non vede, o non vuole o non riesce a vedere una cosa che invece è sotto gli occhi di tutti, se solo li si tiene aperti, vale a dire la decadenza del cosiddetto 'pubblico' e dello stato sociale in tutta Italia. Ed è l'agonia della montagna veneta.

Il problema però è più ampio e capitale di quanto non possa sembrare a prima vista. 
Dietro l'ipotizzata soppressione dell'ULSS feltrina aleggia una sorta di fumus ideologico, di sottopensiero latente, di impeto ideale pragmatista e machiavellico. Un impeto di antidemocrazia, potremmo dire, visto che da più parti si suggerisce (ben si intende più o meno apertamente) che un politico virtuoso, un amministratore bravo e coraggioso, è colui che non tien conto del consenso popolare, che agisce fregandosene bellamente dei voti e del patto con gli elettori.

Seguendo il filo rosso di questo pensiero pragmatista, di questa specie di realpolitik del postmoderno, si può beatamente sacrificare la sanità feltrina in barba agli elettori. E' la gloria dell'antipopolarità, del "Vi prometto sudore, lacrime, sangue" alla Winston Churchill. Ed è la moda del momento.

Così la volontà dei feltrini, come quella di ogni altro elettorato, è poca cosa, il senso del bene pubblico diventa relativo e dipendente dai pensieri solitari del politico. E di quattro ULSS dolomitiche se posson fare due, e poi magari una e poi, forse chissà, più nessuna. 
Lacrime e sangue, appunto. E giù gli applausi.

ULSS Unica Bellunese?


25 gennaio 2011 alle ore 9.50

Il mio problema adesso è l'ULSS unica provinciale a Belluno.
L'ottimista svampito o chi è in malafede possono anche credere, o fingere di credere, che l'ULSS unica bellunese voglia dire mantenimento degli standard di qualità sociosanitaria in provincia. Al contrario, chiunque abbia un minimo di senso della realtà non può che aspettarsi un graduale, deciso, inesorabile peggioramento delle cose: un raddoppiamento dei tempi di attesa per gli esami e i ricoveri, uno scadimento dei servizi di ospitalità, un depauperamento delle risorse professionali...

Perché? Ecco lo scenario che ci si deve aspettare: a pezzo a pezzo l'ospedale di Feltre sarà smontato o, nella migliore delle ipotesi, ridotto ad un vasto contenitore di accessori, mentre a Belluno sarà stipata per sopravvivenza la vera sanità, quella necessaria. 

E' questo il vero risparmio cercato, non lo stipendio di qualche dirigente.

Così a Feltre tutto sarà svuotato e a Belluno tutto sarà stipato, saturato fino all'inverosimile, con gran danno di chiunque, anche dei bellunesi ddel capluogo, e anche degli amici del Primiero. 
Capirai che risparmio per le casse regionali!

Chissà, mi chiedo, se si affacceranno sulla scena nuovi soggetti privati, cliniche e società mediche pronte a lucrare come le iene sulla cadavere del servizio pubblico?

Comunque i feltrini sembrano stanchi dopo due secoli di assedio e si stanno rassegnando alla china, a diventare dei paesani senza né arte né parte; i bellunesi, per parte, loro ostentano una certa indifferenza per la faccenda, se non addirittura una vena di blanda soddisfazione.

Uno sguardo lo darei adesso alpartito dei responsabili, quello di coloro i quali si tagliano le mani da soli pur di poterlo fare da.... protagonisti, di coloro i quali si mutilano in modo autarchico, con serietà, oculatezza e compunzione, certo: per non lasciare che siano gli altri a tagliarli a pezzi. "Suvvia" - dicono - "siamo tutti adulti e reponsabili, castriamoci da soli! Qualcuno ha detto loro che in tempo di crisi avere due mani è un lusso... , e loro, manco a dirlo, zac... se le tagliano da soli.

lunedì 2 febbraio 2015

Da dove vengono i prefetti...

Da dove vengono i prefetti che occuopano le tante prefetture d'Italia?
Ecco qua un eloquente specchietto, ancorchè datato al 2011, che mostra provenienza dei prefetti. 
Si noterà una certa "vocazione regionale" alla carica prefettizia. 
C'è chi produce formaggi e chi produce prefetti.








Rappresentanza per aree nel Consiglio Provinciale







Si noterà come la rappresentanza in Consiglio Provinciale sia ben equilibrata sotto il profilo della distribuzione territoriale, ma sia, al contrario, fortemente squilibrata sotto quello del rapporto cittadini - consiglieri. 
I cittadini maggiormente rappresentati in Consiglio sono quelli dell'area cadorina; i cittadini dell'Agordino sono rappresentati solo per la metà dei primi e, infine, i cittadini dell'area più popolosa della provincia, la media valle del Piave che va dall'Alpago al Feltrino, sono rappresentati solo in misura mimima: meno di un terzo rispetto ai cadorini.

domenica 1 febbraio 2015

Provenienza dei Presidenti della Repubblica.

Dev'esserci qualcosa nell'aria dell'Adriatico che nuoce alla carica di Presidente. #‎PresidenteRepubblica‬



I dodici Presidenti della Repubblica Italiana provengono tutti da tre soli stati storici: il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie.


A chi interessasse la provenienza dei prefetti ecco uno specchietto. http://vistadacesio.blogspot.it/2015/02/da-dove-vengono-i-prefetti.html