venerdì 14 ottobre 2016

Osservazioni sulla Riforma della Costituzione

Alcune ragioni per votare NO al referendum del 4 dicembre 2016 sulla modifica della costituzione italiana.
Osservazioni circa la riforma costituzionale che il 4 dicembre 2016 sarà sottoposta al referendum popolare.


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Votare No significa essere contrari al cambiamento?

No! 
Votare No significa semmai essere contrari al cambiamento della Costituzione così come esso è stato disegnato con questa specifica riforma
E' da stupidi scegliere un cambiamento se questo è peggiorativo rispetto alle cose esistenti
Prima di assumere una dato farmaco è bene essere ragionevolmente sicuri che non abbia a nuocere più dello steso male che si vorrebbe curare. Prima di gettare un liquido per spegnere un incendio è bene assicurarsi che esso non sia della benzina.
Votare No può significare al contrario la possibilità di avviare in tempi brevi l'iter di una riforma costituzionale migliorativa e condivisa. In senso federalista, per esempio.

 

Votare No significa essere inconsapevoli dei problemi del Paese?

No! 
Votare No significa soltanto ritenere che i problemi del Paese non vadano risolti nella direzione prospettata dai proponenti della riforma, ma in direzioni diverse. Direzioni sulle quali è bene riaprire il dibattito in modo più partecipato e costruttivo. Molti dei problemi che ha il nostro Paese, per i quali si propone la riforma con una soluzione, troverebbero invece una conferma e un aggravamento a causa della stessa e  curarli con i mezzi ordinari di uno stato democratico diventerebbe praticamente impossibile.

 

Votare No significa non conoscere il testo della riforma?

NO! Tutt'altro!
Votare No non vuol affatto dire ignorare il testo della riforma, così come votare Sì non vuol certo dire conoscerlo o averlo letto. Votare No può voler dire, al contrario, aver letto con molta attenzione il testo e aver capito che la riforma proposta è addirittura peggiorativa dei mali che affliggono la Repubblica Italiana.


Votare No significa solo "far cadere il governo Renzi"?

No!
Il No del 4 dicembre è rivolto allo stretto quesito referendario, non è quindi un No all'attuale governo di Renzi.  
Certo non si può negare che un No al referendum abbia anche un senso accessorio: è chiaro che un gruppo parlamentare che ha costruito una tale rifoma così pasticciata e pericolosa per il Paese, con il No deve prender atto di non meritare la fiducia degli elettori. Dunque, se di per sè  è scorretto affermare che il No del 4 dicembre sia solo un modo per far cadere il Governo e andare a nuove elezioni, è pur vero però che lo stesso esprima in modo incontestabile la sfiducia del popolo italiano nei confronti dell'attuale maggioranza e del suo esecutivo, e che per questo si debba tornare alle elezioni.

 

Il bicameralismo perfetto è un serio problema per il buon funzionamento dello Stato?

No! Il bicameralismo perfetto della Repubblica Italiana è accusato di rendere lunga e difficile la produzione delle leggi e di ostacolare il buon funzionamento dello stato. 
In realtà il Parlamento italiano ha dimostrato di essere piuttosto celere nell'approvare le norme, quando esse sono davvero volute dalla maggioranza politica. Basti pensare che la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio (modifica dell’articolo 81)  ha richiesto meno di quattro mesi di iter parlamentare. 
L'alta produttività legislativa italiana è, inoltre, dimostrata da fatto che il nostro Paese possiede e produce più norme di qualunque altro in Occidente.


Con la riforma si elimina il bicameralismo?

No!
Non si elimina il bicameralismo, semplicemente lo si trasforma da bicameralismo perfetto (cioè perfettamente simmetrico fra le camere che hanno gli stessi poteri e le stesse funzioni) a bicameralismo imperfetto ossia asimmetrico, con una ramo parlamentare principale (la Camera dei Deputati) ed uno minore (il Senato degli Enti Territoriali). 
Il Senato, infatti, pure se snaturato e reso maggiormente complesso, sia per composizione che per funzionamento, rimane al suo posto. Le due Camere continuano come prima legiferare insieme su molte materie, anche se a ben vedere lo faranno in modo molto più confuso e molto più complicato. Tanto complicato da indurre a una maggiore conflittualità fra le due Camere e fra lo Stato centrale e le Regioni.  

E' pur vero che il nuovo Senato non vota più la fiducia all'esecutivo, cioè non ha più un controllo diretto sul Governo, ma ha un potere di «richiamo» delle leggi e deve essere consultato su materie di vitale importanza per il Governo, come la legge di bilancio. 


Con la riforma sarà più facile e rapido fare le leggi?

No!
Il procedimento legislativo, regolato dall'articolo 70, oggi ha oggi solo 4 "strade percorribili" per costruire le leggi; nel nuovo articolo 70 descritto nella riforma se ne prevedono addirittura da 8 a 10: dunque un numero più che doppio di possibili percorsi. La qual cosa non può che indurre a maggiori conflitti su quale sia quello più corretto da attuare
Anche dall’abolizione delle cosiddette "materie concorrenti" c'è da aspettarsi un deciso aumento dei conflitti (e dei conseguenti ricorsi) fra Stato e Regioni. 

Il citato articolo 70, relativo appunto al procedimento per l'approvazione delle leggi, oggi composto di sole nove parole, nella Costituzione riformata occuperebbe invece un'intera pagina tanto è lungo e complicato. Molti costituzionalisti lo hanno definito senza mezzi termini "un articolo di difficile lettura" anche per esperti di diritto. Non è una buona premessa per la pretesa semplificazione dello stato.




Con la riforma si garantisce il controllo dei cittadini sullo stato e sui politici?

No!
Il senato non sarebbe più elettivo, e dunque ben 315 rappresentanti eletti dai cittadini non esisterebbero più. O, volendo guardare la cosa da un altro punto di vista, i cittadini avrebbero ben 315 loro rappresentanti in meno per decidere sul bene di tutti. Se del risparmio economico che deriverebbe da tale diminuzione si può anche (separatamente) discutere, è però indiscutibile che i pochi parlamentari eletti (i deputati) si ritroverebbero nelle mani un potere di molto maggiore rispetto a quello attuale, e che diminuirebbe enormemente il peso di ciascun elettore nei confronti del suo rappresentante. 
Si noti bene che i cento senatori rimasti conserveranno comunque ampi poteri sul governo e sulle leggi, senza tuttavia avere alle spalle nè un'elezione diretta dei cittadini, nè una qualche forma di mandato popolare e neppure un vincolo di mandato territoriale da rispettare. In altre parole, i senatori sarebbero molto meno controllabili di quello che non sono oggi. Il che è tutto dire! 
Il vincolo del mandato territoriale obbligherebbe almeno i senatori a rappresentare i loro territori di provenienza, in modo da diventarne sostanzialmente dei portavoce e da garantirne gli interessi, ma tale vincolo di mandato è ancora espressamente proibito dalla stessa riforma.
Inoltre, parlando di democrazia, la riforma costituzionale non può prescindere dalla vigente legge elettorale. 
Con la legge attuale per esempio (l'Italicum), una lista che superi il 40% al primo turno ottiene il cosiddetto "premio di maggioranza"; quel 40% reale è potenziato ed aumentato tecnicamente tanto da trasformarlo per magia ed artificio in una sorta "maggioranza virtuale", una maggioranza che il Paese e il suo elettorato non hanno in verità mai votato. Peggio ancora: chi vince al ballottaggio, anche per un voto solo, governa grazie ad un autentico "premio di minoranza". In altre parole: una ristretta minoranza può contare in parlamento su un numero di parlamentari pari a quello che avrebbe avuto se davvero avesse ricevuto un ampio consenso popolare e, in virtù di quel numero falsato, imposessarsi di tutti i poteri dello stato. Alla faccia della democrazia.
In una tale situazione non è garantito neppure l'equilibrio fra i poteri costituzionali, poiché gli organi di garanzia dello stato (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) si trovano condizionati pesantemente da una maggioranza politica che è falsa e artificiosa, ma che è legittimata a comandare, essendo stata costruita con il "premio" di cui sopra.


Con la riforma il lavoro legislativo torna ad essere la prerogativa del Parlamento a garanzia dei cittadini?

No!
Mentre è prevista una "data certa" per l'approvazione dei disegni di legge governativi, ritenuti evidentemente prioritari, per le leggi di iniziativa parlamentare il tempo si fa incerto. Buona cosa, se pensiamo che le leggi non vanno sbrigate in fretta, ma vien da sè che il Governo, organo esecutivo e non legislativo, abbia tutte le possibilità di monopolizzare l'attività legislativa che invece spetta di per sè al Parlamento. La cosa è già in atto da diverso tempo: il Parlamento, infatti, da molti anni e su molti temi non fa che "inseguire" le attività legislative dichiarate "urgenti" del governo, ratificando o concedendo la fiducia all'esecutivo senza concretamente aver potuto discutere nel merito e nella forma le leggi del Paese. La presente riforma non fa che sigillare e confermare questa particolare anomalia antidemocratica.



Con la riforma si amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini?

No!
La riforma porta da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per presentare i disegni di legge di iniziativa popolare. In pratica si triplica la difficoltà che hanno cittadini a proporre delle leggi al Parlamento. Più difficile anche richiedere un referendum abrogativo per il quale le firme richieste aumentano da 500 mila a 800 mila.
Sulla possibilità di effettuare dei referendum propositivi è poi nebbia assoluta: a parte l'annuncio che si trova nel testo della riforma, non si leggono i dettagli essenziali che occorrono per capire se si tratti solo di una "pia intenzione" o di qualche cosa di più concreto di cui ragionare.



Con la riforma diminuiscono davvero i costi della politica?

No!
Non in modo serio almeno, e non in modo debitamente proporzionato con ciò che si perde sotto il profilo della funzionalità e della democraticità dello stato. In sostanza il gioco non vale la candela. 
I costi del Senato, per esempio, sono ridotti appena di un quinto, circa 50 milioni di euro per ogni esercizio annuale, questo perchè l'intero "palazzo" senatorio permane e permane intatto ovviamante il suo funzionamento. Il risparmio di circa una cinquantina di milioni è davvero una cifra irrisoria se pensiamo che per il solo "Patto per Firenze", Matteo Renzi, ex sindaco di quella città, ha annunciato un impegno dello stato di 2,2 miliardi da impiegare in opere pubbliche.
C'è chi dice che si sarebbe piuttosto potuto intervenire sui ben 630 deputati che non sui senatori che sono molti di meno. O che sarebbe bastato diminuire i vitalizi o le indennità del 10% o gli sprechi dei palazzi che sono sempre altissimi ed incontrollati.
A parte la voce "Senato" si fa fatica a trovare nella Riforma un reale motivo di risparmio sui costi della politica. E' peraltro sufficiente che ai deputati sia riconosciuto negli anni a venire un certo aumento di indennità o un nuovo beneficio accessorio o una maggiorazione del vitalizio per azzerare ogni risparmio ottenuto con la riforna del Senato, e stiamo pur certi che questo avverrà quanto prima.



Con la riforma saranno più responsabili i territori e più garantite  le autonomie?

No!
La riforma è fatta apposta per aumentare i poteri dello stato centrale a danno delle autonomie locali che vengono caricate di responsabilità, ma private di mezzi finanziari e di prerogative.
E' bene ricordare come la spesa pubblica di Regioni ed Enti Locali sia andata diminuendo in questi anni e in modo esponenziale, mentre, allo stesso tempo, lo stato centrale abbia aumentato a dismisura le proprie spese. A questo stato centrale sprecone e dissennato la riforma consegnerebbe maggiori risorse e maggiori poteri.
La riforma abbassa le Regioni tutte allo stesso livello: quelle virtuose come quelle tradizionalmente malgovernate, confermando, tuttavia, i privilegi delle sole Regioni e delle sole Provincie a statuto speciale, anche i privilegi straordinari di una Sicilia che nella storia ha ampiamente dimostrato di fare un pessimo uso della propria autonomia, a danno di tutti i cittadini italiani.
La diminuzione delle autonomie regionali (cosa già vista nella storia italiana) non potrà che favorire il ritorno del vecchio ingiusto assistenzialismo per i territori meno virtuosi, i cui costi gravosi saranno come sempre caricati sulle spalle dei cittadini e dei territori più operosi e meglio governati. In altre parole si prevede il ritorno di quel  centralismo burocratico che già si dimostrò fallimentare ed ingiusto dalla nascita dello stato italiano fino agli anni ottanta. 
Con la riforma, insomma, si mette al riparo chi peggio governa e chi meno lavora, confermando il vizio tutto italiano di deresponsabilizzare gli irresponsabili e di punire i cittadini virtuosi.
Ad aggravare la cosa un altro fatto: con la riforma si prevede che il governo centrale abbia  facoltà di intervenire su tutto il territorio italiano (fatte salve le autonomie speciali di cui sopra) imponendo alle comunità locali delle opere anche particolarmente impattanti, sotto l'etichetta pretestuosa del "prevalente interesse nazionale".



Con la riforma si garantisce la sovranità nazionale?

No! L'Italia progettata dalla riforma sinavvia a diventare una semplice "regione autonoma" dell'Unione Europea
La sovranità nazionale e popolare, ossia il potere del popolo italiano di determinare  le proprie leggi da se stesso in modo libero ed autonomo è già ad oggi un fatto più teorico che reale, ridotta e compressa com'è, tale sovranità, da una pletora di trattati internazionali che costringono lo stato a legiferare solo entro determinati confini prestabiliti. Non solo i trattati riducono di molto la sovranità popolare, ma, com'è noto, la riduce soprattutto l'appartenenza del Bel Paese all'Unione Europea. A ridurre la possibilità di un ritorno all'indipendenza degli italiani su modello inglese la riforma renziana dispone un nuovo articolo 117 che recita come segue:

"1. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall'ordinamento dell’Unione europea e dagli
obblighi internazionali.
"

Con questo articolo è di fatto sancita l'impossibilità per gli italiani di uscire dall'Unione Europea senza che vi sia prima una complessa modifica della costituzione. In altre parole viene sigillata la dipendenza dello stato italiano dalla UE.

 

La riforma renziana è ampiamente condivisa?

No! 
La riforma della costituzione di un paese democratico deve essere approvata e condivisa dalla maggioranza più larga possibile dei cittadini, idealmente perfino dalla totalità di essi.
Ora, è evidente invece che il risultato di questa riforma (dovesse mai passare), sarebbe la spaccatura in due del popolo italiano. Sì, perché questa è, al più, la riforma di una sola risicata maggioranza di cittadini. Si creerebbe pertanto con questa costituzione ristrutturata un'insanabile frattura fra gli italiani e proprio sulla legge fondamentale della Repubblica, sulla "legge delle leggi".
Questa per me è una ragione già più che sufficiente per votare in favore dell'attuale Costituzione, perché è senz'altro meglio stare fermi che fare "un passo avanti" verso l'abisso.


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