lunedì 21 marzo 2016

La strafottenza del potere

A proposito di strafottenza del potere e di soppressione di ULSS e di comuni, mi sovviene una favola di Fedro che parmi essere più che appropriata.

Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere nello stesso ruscello.
Il lupo era più a monte, mentre l'agnello beveva a una certa distanza, verso valle. 
La fame però spinse il lupo ad attaccar briga e allora disse: "Perché osi intorbidarmi l'acqua?"
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". 

Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.
 

Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.

Troppi i comuni italiani?

Eliminazione dei piccoli comuni.

Dal PD parte una bordata -l'ennesima- contro i comuni: una proposta di legge a firma di Lodolini che prevede di eliminare dall'alto, in modo forzato, i comuni più piccoli. 
La scusa è quella di sempre, quella che si usa per motivare qualsiasi azione deleteria e antidemocratica che si voglia attuare: la scusa è Monsignor Risparmio. Potevano dire "E' l'Europa che ce lo chiede", ma tant'è...

A poco serve dimostrare razionalmente, coi numeri, che il risparmio in realtà non esiste, e che se c'è, c'è perchè sono stati eliminati dei servizi essenziali per la popolazione. A poco valgono il buon senso e la ragione umana. Come nella favola del lupo e dell'agnello di Fedro il forte prevale sul debole senza neanche avere l'onere, alla fin fine, di dover fornire una plausibile ragione.

In ogni caso ci chiediamo per pura onestà intellettuale: sono davvero troppi i comuni in Italia? Sono davvero da sfoltire? 

Diamo allora una piccola occhiatina all'estero.

In Italia i comuni sono circa 8.000 e cioè uno ogni 7.585 abitanti
In Germania i gemeinden sono 11.334 ossia sono uno ogni 7.213 abitanti.
Nel Regno Unito gli wards sono 9.434 vale a dire uno ogni 6.618 abitanti.
In Francia i communes sono 36.680: uno ogni 1.774 abitanti.
In Spagna ci sono 8.116 municipios: uno ogni 5.687 abitanti.
La media in UE è di un ente comunale ogni 4.132 abitanti.



Possiamo dunque visualizzare in questo grafico il rapporto che c'è tra i comuni e gli abitanti nei citati paesi europei. 
E come si vede l'Italia è il paese, fra quelli considerati, con il minor numero di comuni per abitante.



Dimostrato che in Italia non ci sono troppi comuni, non almeno rispetto all'Unione Europea, la vera questione rimane solo quella del rapporto economico fra le risorse pubbliche disponibili e i servizi da rendere alla cittadinanza. 

E' chiaro e scontato che sia la democrazia sia i servizi alla popolazione sono onerosi, ma alzi la mano chi pensa che si debba risparmiare o sulla democrazia o sui servizi essenziali, sapendo che è appunto per governare in modo democratico e per rendere servizi alla popolazione, che esiste la Repubblica. Chi volesse, infatti, risparmiare su queste cose dovrebbe avere il coraggio di proporre una monarchia assoluta alla Roi Soleil, con zero democrazia e zero servizi: il risparmio sarebbe assicurato.

Stabilito che il risparmio per il risparmio non è una cosa che stia in piedi in uno stato democratico, è bene capire che il vero risparmio è ottenibile non tanto distruggendo i comuni, ma maggiorando semmai la scala di gestione dei servizi erogati. E neanche questo è sempre vero.
In ogni caso è sui servizi e non sugli enti che si può ottenere un certo risparmio, e lavorando non per distruggere ma per dare ordine e razionalità 
Sarebbe, infatti, una calamità spaventosa la demolizione di migliaia di piccoli comuni, poichè tale demolizione comporterebbe una perdita irrimediabile di identità comunitaria e di autentica democrazia, e soprattutto della ricchezza civica costituita dall'impegno di decine di migliaia di amministratori pubblici, sostanzialmente volontari, il cui costo complessivo annuale è pari a quello di appena una trentina di deputati parlamentari. E il tutto a fronte di risparmi reali davvero irrisori.
 
La soluzione, dettata dal buon senso, è quella della gestione associata dei servizi. Il d.l. 78/2010 già obbliga i comuni con meno di cinquemila abitanti ad associare le funzioni e i servizi e l'associazione dei servizi è ampiamente sperimentata in enti quali le Comunità e le Unioni Montane e le unioni di comuni; l
a maggior parte dei comuni con
meno di cinquemila abitanti fa parte appunto di uno di questi enti
Il segreto sta dunque nell'incentivare con decisione l'ulteriore associazione di servizi in ambiti ottimali e attraverso delle giuste e congrue premialità.
Se dieci comuni, tanto per capirci, che hanno in tutto sette agenti di polizia locale, associandosi nella funzione ricevono due agenti in più, è chiaro che hanno un forte interesse ad associarsi. Ma se, al contrario, nell'associarsi perdono un ulteriore agente e si ritrovano con meno di quel che avevano quand'erano dissociati, è evidente che per loro la cosa è solo un imbroglio.

Gli enti di secondo grado, sovracomunali, possono essere lo strumento giusto per salvare i servizi fondamentali, le economie e soprattutto per salvaguardare le piccole comunità locali. 
Serve allora uno sguardo intelligente sulla questione, che non sia ideologico, non scalmanato e mediatico come quello che oggi è in voga nel Palazzo (vedi il PD Lodolini) e nei salotti. Serve mollare la scellerata avversione talebana per i cosiddetti campanili e "capire" prima metter mano al piccone demolitore.

Invece di distruggere i piccoli comuni è ragionevole casomai

- innalzare l'obbligo di associare la gestione delle funzioni e dei servizi fino ai comuni con 10.000 abitanti, rendendoli disponibili a collaborare con i comuni più piccoli e in difficoltà;

- premiare con risorse aggiuntive gli enti di secondo grado quali le Unioni Montane, in ragione dei servizi gestiti per i comuni associati;

- considerare tra i parametri di virtuosità l'associazione dei servizi;
- concedere un'autonomia fiduciaria concreta ai comuni che si dimostrino virtuosi;
-  applicare quale parametro di valutazione per le premialità, il metodo dei costi standard sia per contesto nazionale sia per aree omogenee.

Con questo metodo si otterrebbero dei veri risparmi, una più razionale ed efficace gestione dei servizi, servizi di qualità migliore, e, guarda caso, si manterrebbero le strutture del governo territoriale, gli enti e i luoghi della democrazia.


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In calce alla mia riflessione aggiungo un intervento di Francesco Chiucchiurlotto dedicato al medesimo argomento.




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Fino a poco tempo fa le caratterizzazioni ed i contenuti della Sinistra erano facilmente riconoscibili ed identificabili: giustizia sociale per i più deboli, diritti civili diffusi, lavoro come diritto e fondamento politico, autonomia e crescita della autonomie locali, comuni in primis.
E’ nei comuni, che nasce e cresce il cittadino; è li che esso forma il centro dei suoi interessi e sviluppa la propria famiglia come cellula dell’intera società.
Non a caso l’Italia ha, unica al mondo, due istituzioni millenarie: la chiesa cattolica apostolica romana e gli ottomila comuni.
Prudenza vorrebbe che tali istituzioni fossero trattate con il dovuto riguardo, rispetto, sensibilità; e ciò comunque la si pensi, comunque si appartenga a schieramenti politici o culturali.
Sta facendo un qualche effetto, sulla seconda delle istituzioni citate, la proposta di legge che va sotto il nome del primo firmatario, tal Lodolini, seguito da altri 19 deputati del Pd, che all’art.1 modificherebbe il testo unico sugli enti locali sancendo la lapidaria sentenza che: “Un comune non può avere una popolazione inferiore a 5000 abitanti”.
L’art. 2 prevede la fusione obbligatoria, che se non volontariamente scelta, verrà attuata dalle Regioni; l’art.3 dimezza i trasferimenti erariali alle Regioni non adempienti.
Ora con tutti guai che abbiamo, sia dentro che fuori i confini patrii, la proposta non potrebbe che suscitare sorrisi di compatimento o qualche metaforica pernacchia: ma qualche riflessione sarebbe bene farla.
Intanto capire perché proprio nel Pd, in contrasto con la propria ricordata tradizione di sinistra, si raccolga una pattuglia di deputati che mettono insieme in un sol colpo, autoritarismo statuale velleitario, spregio della Costituzione, superficialità e disinformazione, populismo di bassissimo conio.
Gli 8.003 comuni italiani non sono né tanti né troppi accanto ai 12.900 tedeschi, 36.700 francesi, 8100 spagnoli e via elencando; la particolare orografia dell’Italia ha nei secoli costruito aggregazioni ottimali con propria storia, identità, tradizioni, tipicità, eccellenze, che sono alla base delle forme più diffuse del made in Italy; seimila circa di essi sono amministrati da volontari a costi risibili o inesistenti; negli ultimi 15 anni hanno subito tagli dieci volte superiori agli altri comparti pubblici.
Non è dimostrato, anzi lo è il contrario, che la dimensione demografica costituisca risparmio o servizi efficienti; l’associazionismo delle funzioni e dei servizi è una cosa seria e da praticare, ma non con obblighi assurdi o direttive sommarie.
Il novecento ci ha fornito esempi tragici di chirurgia sociale e politica; di chirurgia istituzionale non se ne sentiva proprio il bisogno; siccome la proposta è sta presentata in pieno periodo di Carnevale, prendiamola come uno scherzo.

Francesco Chiucchiurlotto
Coordinatore Regionale
Borghi e Paesi del Lazio

  


domenica 6 marzo 2016

Fusioni e confusioni: alla ricerca di idee più chiare

Come si fa a valutare se la fusione di un ente con un altro - sia esso Comune, ULSS, o Camera di Commercio - sia un fatto positivo e lungimirante per la popolazione o, al contrario, non sia piuttosto un inganno di Palazzo?
Servono criteri chiari, che dimostrino l'eventualità di un miglioramento dei servizi e del governo, in favore della popolazione e del territorio.
Il risparmio per le casse statali può essere un criterio sufficiente e bastevole per motivare la fusione di una ULSS o di un Comune?
Ovvio che no! A maggior ragione se quel risparmio, posto che davvero ci sia, si viene a scoprire che è divorato da maggiori e vieppiù crescenti spese pubbliche, operate su fronti ben diversi da quelli dei servizi ai cittadini, e meno utili. A maggior ragione poi, se quel risparmio viene divorato da un sistema usuraio, immorale e perverso, come quello delle compagnie finanziarie internazionali. Basta la voglia di cambiamento di per se stessa? Bastano le parole d'ordine come progresso, attualità e modernizzazione? Basta la moda? Credo di no: sono cose irrazionali e passeggere.

Parlando di Criteri

Quali sono allora i criteri che si possono adottare per valutare se sia o no il caso di aggregare o disaggregare degli enti locali?

Di sicuro gli obbiettivi dovrebbero essere i seguenti:
- maggior governabilità del territorio e della comunità: la fusione/disaggregazione è positiva se rende più agevole il compito di gestire e governare;
- maggior efficenza ed efficacia dei servizi: la fusione/disaggregazione è positiva se i cittadini hanno chiari vantaggi nei servizi che crescono di numero, di qualità e costano di meno;
- giusta vicinanza dei rappresentanti democratici: la fusione/disaggregazione è positiva se gli eletti sono facilmente raggiungibili dai cittadini elettori, sono in un rapporto di effettiva vicinanza;
- democraticità ed equo potere decisionale delle comunità nell'autogoverno: la fusione/disaggregazione è positiva se la comunità è rappresentata in modo equlibrato, sia rispetto alle sue componenti sia  rispetto alle altre comuità, e può realmente decidere delle proprie cose;

- conservazione delle identità comunitarie: la fusione/disaggregazione è positiva se la comunità non si dissolve, ma mantiene viva la propria identità culturale;
- mantenimento del rapporto uomo-territorio: la fusione/disaggregazione è positiva se il profilo economico, le tradizioni, l'ambiente sono conservati e mantuenti in uno stato di vitalità. Ciò implica l'efficacia nel contrasto all'eventuale spopolamento della plaga.

Come misurare la realtà territoriale per valutare preventivamente la necessità di una aggregazione/disaggregazione ovvero al contrario di una autonomia di un dato ente?
 
Bisogna affidarsi ai dati della geografia e della statistica, e agli studi dell'antropologia culturale e delle scienze umane.  

Le misurazioni geografiche e statistiche presentano dati relativi a
  • orografia e idrografia (barriere naturali come laghi e corsi d'acqua, rilievi montuosi);
  • superficie;
  • clima;
  • popolazione: numero di abitanti, densità, distribuzione nel territorio - centri abitati;
  • servizi erogati e presìdi (scuole, ospedali, medici di base, poste, banche, negozi, forze dell'ordine, trasporti pubblici...); 
  • distanze/percorrenze dalle periferie verso e da servizi, centri decisionali, luoghi di lavoro;
  • situazione economica: attività produttive, risorse naturali e ambientali;
Gli studi di antropologia culturale e delle scienze umane forniscono una importante chiave di lettura rispetto alla storia del territorio e alle identità di comunità, agli aspetti peculiari della popolazione e al cosiddetto spiritus loci

Parlando di comuni.

Di recente è nato il "fantasioso" concetto di aree interne delle quali Veronica Nicotra - Segretario Generale ANCI testo ANCI scrive:
La Strategia per le aree interne, indicata dal Governo italiano come progetto cardine nel Piano Nazionale di Riforma (PNR), interviene su un problema molto avvertito dall’ANCI: lo spopolamento e abbandono di molti comuni interni, per lo più di piccole dimensioni demografiche e di montagna, che soffrono peraltro di gravi disagi per le difficoltà di collegamento con i distanti centri urbani di erogazione dei servizi fondamentali (sanità, istruzione, mobilità).
Si tratta di 4.181 comuni (di cui 1.810 appartenenti alla tipologia “periferici” o “ultraperiferici”, distanti più di 40 minuti dal più vicino centro di erogazione di servizi), classificati secondo la metodologia descritta nell’Accordo di Partenariato 2014-2020, adottato con decisione di esecuzione della Commissione UE 29.10.2014 C(2014) 8021 e recepito dal CIPE il 29 ottobre 2014.
Parliamo di poco meno di un quarto di popolazione che vive in oltre il 60,0% del territorio nazionale. 
ANCI spiega: 
Una parte preponderante del territorio italiano è caratterizzata da un’organizzazione spaziale fondata su “centri minori”, spesso di piccole dimensioni, che in molti casi sono in grado di garantire ai residenti soltanto una limitata accessibilità ai servizi essenziali. Le specificità di questi territori sono riassumibili utilizzando l’espressione aree interne. Le aree interne italiane possono essere caratterizzate nel seguente modo:
• sono significativamente distanti dai principali centri di offerta di servizi essenziali (istruzione, salute e mobilità);
• dispongono di importanti risorse ambientali (risorse idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere);
• sono un territorio profondamente diversificato, esito delle dinamiche dei vari e differenziati sistemi naturali e dei peculiari e secolari processi di antropizzazione.

Se per i Comuni così definiti è previsto addirittura lo stanziamento di risorse dedicate è imaginabile che la soluzione sia quella della fusione, cioè della loro sostanziale scomparsa? E per tutti i comuni che si trovano in situazioni consimili è forse tanto diverso il ragionamento? 
Va da sè che la fusione dei Comuni più piccoli non può far altro che cancellare dalla carta molte di quelle cosiddette aree interne, nel senso che, fuse e confuse, inglobate e digerite nel ventre di centri maggiori diventano per forza invisibili allo stato con buona pace di chi le abita.
Al contempo la diminuzione dei servizi nei centri erogatori (vedi il caso delle ULLS unificate) non può che rendere vieppiù periferiche le aree "interne" che a quei centri fanno riferimento. Il depotenziamento di un ospedale, conseguente alla fusione di un'ULSS, infatti, non ha altro effetto che quello di una maggiore e più grave marginalità delle periferie ad esso affidate.

Algoritmo


Serve un metodo di calcolo, un algoritmo che determini un valore, un numero, un dato oggettivo da cui partire per proporre o l'aggregazione (fusione) di un ente con un altro, o la disaggregazione di una comunità da un ente eccessivamente corposo. O che provi la necessità di mantenere l'autonomia di un Ente che già ce l'ha.

Parlando di Comuni, quali sono gli indici o parametri da considerare?


id: indice demografico

Un primo parametro è dato dalla popolazione. E' necessario definire i limiti e l'obiettivo ossia il limite massimo di popolazione, queo minimo e quelo ideale per il raggiungimento dei criteri sopra descritti.

if: indice di frazionamento

Un parametro è dato dal numero dei centri abitati frazionali di cui il Comune è composto, sommati al capoluogo. Sarà if o indice di frazionamento.
Più if è elevato maggiore è la dislocazione e la perifericità della popolazione, più alta può essere la necessità di mantenere un ente autonomo e pertanto minore è l'aggregabilità del Comune.




irg: indice di raggiungibiità

Altro parametro è la distanza dei centri abitati che si misura in termini di tempo di percorrenza e non in chilometri, ritenendo la media annuale (varie condizioni meteo, orari, traffico, andata a ritorno, ecc.), misurata dai centri più periferici del territorio al centro capoluogo comunale(ir1),e dai centri più periferici del territorio al centro maggiore di erogazione di servizi -scuole, ospedali, medici di base, poste, banche, negozi, forze dell'ordine, trasporti pubblici...- (ir2).


testo in costruzione: continua....




sabato 5 marzo 2016

Trasparenza in GSP: verità con faccia contro menzogne senza volto



Nel 2014, a causa di quello che ritengo essere il mio senso naturale di responsabilità e di democrazia, sottoponevo all'Assemblea generale di BIM GSP una proposta di delibera che, come qualsiasi lettore può constatare di persona, è volta ad assicurare la trasparenza e la democrazia nella società di gestione della risorsa idrica provinciale. 
Poichè, in vista della mia proposta avevo preventivamente negato il mio voto ad una che le era similare, secondo me non ottimale, un'anonima congrega di individui ideologicamente e politicamente "diretti", di squadristi della rete, mi fece bersaglio di illazioni e falsità, dedicandomi una satiretta ridicolizzante in cui mi si rappresenta (senza possibilità di contradditorio) come un nemico della trasparenza. 
Non avendo nè i mezzi nè il potere per contrastare questi nascosti mentitori ho deciso, due anni dalla gogna, di mettere a disposizione la nuda verità e cioè il fatto che allora ho proposto ed ottenuto da GSP il Tavolo Integrato per la Trasparenza. 
I miei lettori giudichino se davvero meritavo e merito di essere trattato (ancor oggi) come un nemico della trasparenza. 


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Spettabile AU di BIM GSP

Si chiede di inserire all'odg della prima seduta utile dell'assemblea dei soci e di sottoporre al voto quanto segue:



«Ai sensi e per gli effetti dell'art 23 dello statuto sociale l'assemblea delibera quanto segue:  



È istituito presso il Comitato di Coordinamento, deliberato il 19 luglio 2013, il "Tavolo integrato per la trasparenza".

Il tavolo ha lo scopo di favorire l'informazione e la partecipazione dei cittadini utenti in merito alla gestione del servizio idrico loro indirizzato. 

Il Tavolo ha dunque le seguenti competenze:

-        garantire ampia informazione verso i soggetti non soci interessati circa l'operato societario

-        collaborare con l'assemblea dei soci alla definizione di modalità comuni per fornire una informazione corretta, di ampio raggio, diretta all'utenza e alla cittadinanza in genere, circa la gestione del servizio idrico.

-        rappresentare alla Società le emergenti esigenze dell'utenza e i bisogni non ancora risolti.



Al Tavolo Integrato per la Trasparenza sono convocati:



A. i sei membri del comitato di coordinamento,

B. l’Amministratore Unico,

C. fino a cinque membri espressione dei portatori di interesse del territorio così individuati:

            a. 1, d'intesa tra loro, dalle associazioni di categoria

            b. 1, d'intesa tra loro, dalle organizzazioni sindacali

            c. 1, d'intesa tra loro, dalle associazioni di consumatori

            d. 1, d'intesa tra loro, dai movimenti impegnati nella tutela degli interessi del territorio                        provinciale e nella promozione della maggior autonomia amministrativa.

            e. 1, d'intesa tra loro, dai gruppi associativi impegnati nella tutela patrimonio idrico.



I soggetti ammessi al tavolo devono avere carattere democratico ed elettivo ed essere espressione di parti significative della cittadinanza.

Il Tavolo è obbligatoriamente convocato a cura del presidente del Comitato di Coordinamento non meno di due volte l'anno.

Possono essere ammessi ai lavori del tavolo gli organi di informazione. »





 Michele Balen.

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La lettera, mai pubblicata, è del 13-01-2014.
La proposta fu portata in Assemblea ed approvata in data 29 aprile 2014.

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 PROGRAMMA PER LA TRASPARENZA E L’INTEGRITA’Approvato con determina dell'Amministratore Unico del 05/08/2014

(estratto)

2.4 Modalità di coinvolgimento degli stakeholder e risultati del coinvolgimento GSP  ritiene  fondamentale  favorire il coinvolgimento degli stakeholders e  l’interazione con gli stessi.
A tal fine, oltre alla pubblicazione dei dati e delle  informazioni necessarie sul proprio sito internet alla sezione amministrazione trasparente, l’Assemblea dei Soci di GSP ha deliberato in data 29 aprile 2014 l’istituzione di un “Tavolo Integrato per la Trasparenza”.
Tale Organo ha lo scopo di favorire l’informazione e la partecipazione dei cittadini utenti in merito alla gestione del Servizio Idrico e avrà le seguenti competenze:

  • garantire  ampia  informazione  verso  i  soggetti  non  soci  interessati  circa  l’operato societario;
  • collaborare  con l’assemblea dei soci alla  definizione  di modalità comuni per fornire una  informazione  corretta,  di  ampio  raggio,  diretta  all’utenza  e  alla  cittadinanza  in genere, circa la gestione del Servizio Idrico;
  • rappresentare alla Società le emergenti esigenze e i bisogni non ancora risolti.
Al  Tavolo  Integrato per la Trasparenza, che  verrà convocato  almeno due volte l’anno, saranno invitati:
  • i sei membri del Comitato di Coordinamento,
  • l’Amministratore Unico,
  • fino a cinque membri espressione  dei  portatori  di  interesse del territorio così individuati:
  1. di intesa tra loro dalle associazioni di categoria;
  2. di intesa tra loro dalle organizzazioni sindacali;
  3. di intesa tra loro dalle associazioni di consumatori;
  4. di intesa tra loro dai movimenti impegnati nella tutela  degli  interessi del territorio provinciale e nella promozione della maggior autonomia amministrativa;
  5. di intesa tra loro dai gruppi associativi impegnati  nella  tutela del patrimonio idrico.