Uno schizzo a matita, per dire a voce alta un sogno di autonomia. Senza pretese profetiche, senza credermi troppo originale, metto a disposizione di chi è interessato un'idea che coltivo da diversi anni.
Ai sensi dell’art. 131 titolo V del dettato costituzionale è
costituita la Regione Triveneta*
Alla Regione Triveneta sono aggregati i Comuni appartenenti alle regioni Veneto, Trentino Alto
Adige e Friuli Venezia Giulia.
Alla Regione Triveneta si applica quanto previsto dall’art.
116 tit. V della Legge Costituzionale per il Friuli Venezia Giulia, la
Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste, ovvero che essa disponga di forme e condizioni particolari di autonomia,
secondo uno statuto speciale adottato con legge costituzionale.
Nell’ambito della Regione Triveneta sono estese a tutti i
territori e garantite dalla Repubblica le medesime prerogative di autonomia già in essere nelle aree amministrative dotate
di statuto speciale ai sensi degli artt. 116 e 117 del dettato costituzionale.
Ai territori contraddistinti dalla presenza di minoranze
linguistiche e ai comuni interamente montani della Regione sono assicurate ulteriori forme di autonomia da esercitarsi
in forma associata entro ambiti ottimali individuati dai comuni stessi.
* Denominazione provvisoria.
Una regione composita, dunque, costruita di diversità e di autonomie(1), con una storia alle spalle fatta di continue relazioni economiche, sociali e culturali tra le sue popolazioni. Come pure di confini artificiosi da smontare, confini come quello che separa ancor oggi il Feltrino dal Primiero e dalla Valsugana, per esempio, o il Cadore e Sappada dalla Carnia.
Una regione di popoli, di montagna e di pianura, riequilibrati, anche nei numeri e nelle proporzioni territoriali, fra di loro. Dotata di strumenti legislativi e strutturali adatti a governare ogni area omogenea con le dovute peculiarità.
Ma come andrebbe costruita questa regione?
Non certamente operando dall'alto, non alla "napoleonica", ma destrutturando pian piano, piuttosto, i confini che le segmentano, permettendo per esempio la gestione comune di politiche e di servizi anche su base distrettuale sovraregionale, e interregionale. O, ancora, favorendo l'instaurarsi di istituzioni e tavoli di governo comuni che vedano sedere insieme gli amministratori pubblici di tutte e tre le attuali regioni. Sindaci del Trentino Alto Adige con sindaci del Veneto, e sindaci del Veneto con sindaci del Friuli Venezia Giulia. favorendo la creazione di "comunità a scavalco". E favorendo inoltre la possibilità di istituire Camere di Commercio o Associazioni di categoria che sorpassino i confini regionali.
(1) Separare
con confini rigidi i popoli alpini da quelli di pianura a lungo termine
è controproducente per tutti. Se la logica è quella di mettere insieme i
popoli alpini allora la regione prospettata va esattamente in questa
direzione, ma non lo fa con un'ottica "curtense" e di piccolo
cabotaggio, bensì con una visione aperta ed inclusiva. Non si tratta qui
di ricalcare l'attuale modello regionale, ma di costruire un modello
tutto nuovo, il modello di una "regione delle autonomie e delle
specificità". Una regione fatta di comunità e di identità diverse, che
sia modello per un'Europa dei popoli che ancora non si è mai vista.
Supponiamo per un momento che il genio dalla lampada si offra di concedere magicamente una vera autonomia alla montagna veneta: a chi vorremmo che fosse intestata detta facoltà?
"All'ente provinciale!", ci sembra senza dubbio di dover rispondere, com'è per Trento e per Bolzano. Ma siamo certi che questa sarebbe davvero una scelta lugimirante per noi?
Vediamo un po'.
Gli enti provinciali sono, da sempre, quelli più discussi e più assediati fra gli enti del governo territoriale. Con scadenza periodica, infatti, vi è chi ne propone l’abolizione, ritenendo che essi siano un livello istituzionale inutile, ben sostituibile con un migliore e più definito assetto delle competenze e dei poteri fra le Regioni ed i Comuni.
Orbene, l'autonomia è un valore importante, un tesoro prezioso: e chi mai metterebbe un tesoro prezioso in un luogo così frequentemente esposto agli assedi e alle tempeste della politica?
Ma allora dove dovremmo chiedere che il genio della lampada riponga la nostra autonomia perchè essa non vada cancellata, sottratta, perduta appena l'indomani del suo magico conseguimento? Su quale barca la dovremo caricare, se quella provinciale ci appare, e a ragione, tanto insicura ed esposta alle tempeste?
Io suggerisco che al genio si chieda di riporre la nostra autonomia non in una sola grande nave provinciale, ma nella "flotta" intera dei piccoli agili vascelli comunali, degli enti più antichi, più stabili e più sicuri della nostra repubblica, quelli che con molta difficoltà verrebbero un domani cancellati dalla nostra Costituzione: i comuni. Così mi sentirei al sicuro.
La norma "geniale" dovrebbe dunque prevedere l'assegnazione delle autonomie speciali agli enti comunali, definiti e individuati dalla legge stessa; dovrebbe inoltre obbligare tali enti a individuare da loro stessi gli ambiti ottimali (gruppi di comuni, unioni montane, gruppi di unioni, aree provinciali o interprovinciali o addirittura interregionali...) in cui esercitare, in forma necessariamente associata, le competenze loro assegnate, una per una, permettendo così alle varie comunità naturali di ridisegnare buone "geometrie" di governo, e di creare strumenti e livelli efficaci per esercitare ogni funzione ricevuta. E praticare, con ciò, una responsabile democrazia politico-amministrativa radicata e aderente al territorio.
L'idea
di una provincia autonoma di Belluno e quella di una Venetia (Venezia
Euganea) immaginata come stato indipendente o come stato inscritto in
un'Italia federale, sono pure compatibili, ma fin da subito
vanno fra esse "armonizzate", ciò per renderle efficaci sul piano della loro proponibilità.
In
primo luogo il Feltrino, perno strategico di tutto il pensiero autonomista, reclama a buon diritto l'abbattimento dei suoi
confini occidentali con il Trentino; parimenti fanno
l'Agordino e l'Ampezzano. Ciò comporta giocoforza che il ragionamento
indipendentista sia allargato fin da subito almeno al Trentino Alto Adige. Guai, infatti, se un confine di stato si sostituisse a quello regionale che già oggi strozza il Feltrino storico, tornando a separare come un tempo, in modo assurdo, il territorio soggetto al Veneto da quello soggetto al Trentino.
In
secondo luogo, va da sè che anche il Friuli Venezia Giulia, in uno
scenario che dovesse vedere l'ormai raggiunta indipendenza del Veneto, non potrebbe che chiedere anch'esso, necessariamente, o un'analoga e parallela
indipendenza o la sua aggregazione allo stesso stato nordestino. Se ciò non accadesse il pasticcio sarebbe, con tutta evidenza, grandissimo.
Rimane infine (ed ecco qua il momento saldante fra l'autonomismo bellunese e l'indipendentismo veneto), da
disegnare il quadro delle autonomie; quelle che andrebbero immediatamente sviluppate all'interno dello stato triveneto così concepito. In tale quadro, lo
specifico assetto di governo di quella che oggi chiamiamo "montagna veneta" e "provincia di Belluno", potrebbe trovare un respiro tutto nuovo.
Cosa sono in questo caso i "blasoni"?
Ecco una piccola nozione introduttiva.
Il blasone popolare (fr. blason populaire; ted. Titulatur).
- Il termine blasone, trasportato dall'araldica nella paremiografia,
serve a designare quella speciale classe di motti che si riferiscono a
paesi, città e provincie, traendo motivo da caratteri locali, prodotti,
mestieri, abitudini, avvenimenti veri o presunti, spesso faceti. Per il
loro carattere in prevalenza ingiurioso, tali motti meritarono i titoli
di "dileggi e scherni", "maldicenze paesane" o "intercomunali", "epiteti
e motteggi"; ma il nome più adoperato è quello di blasone, introdotto
nel folklore dal Rolland e poi con gran successo adoperato dal Gaidoz e
dal Sébillot. In Italia si propenderebbe a sostituirlo con "soprannome" e
"nomignolo", che richiamano alla memoria la cantilena attribuita al
Martin Cieco da Lucca o a Darinel Ritio detto il Piacentino, col titolo:
Nomi e cognomi di tutte le città et provincie. Per la forma si possono raggruppare in tre categorie: filastrocche, ritornelli, strambotti.
Dalla Enciclopedia --> Treccani.it
Ho raccolto grazie a Gemma Basei, Andrea Marin, Stefania Spada ed altri ancora qualche blasone ancora in uso presso le varie comunità dell'antica pieve di Cesio. Mi premuro di riportarli nel web prima che vadano persi per sempre nell'oblio.
- Le 'Iserte de Pez
'iserta:
lucertola
- I Panoiot de Dorgnan
panoiot:
pannocchia
- I Mudoi de Anzaven
mudol:
rospo ululone
- Le Bisate de Busche
bisata:
anguilla
- Le Sope de Pullir
sopa:
zuppa ma anche
danno, noia, fastidio
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Con un po' di collaborazione spero di poter raccogliere tutti i blasoni cesiolini uno per ciascuna comunità frazionale.
Grazie a chi mi vorrà aiutare.