martedì 1 marzo 2016

Buona scuola, cattivi pensieri

Un articolo importante dedicato alla Mala Scuola di Renzi e agli abusi e stanno minando la democrazia e il futuro.
  

Verso il referendum. La Buona Scuola è anche una Scuola Legittima? Mettiamo in fila i sospetti, i dubbi di legittimità che ci attraversano già a prima lettura

14 Febbraio 2016 | di Michele Ainis *


La Buona Scuola è anche una Scuola Legittima? C’è insomma un vizio di legittimità costituzionale sotto la virtù di cui s’ammanta, fin dal suo nome di battesimo, la riforma congegnata dal governo? Impossibile rispondere in modo perentorio, perché l’incostituzionalità delle leggi rimane un sospetto, fin quando la Consulta non la dichiari con una specifica sentenza. Però possiamo mettere in fila i sospetti, i dubbi di legittimità che ci attraversano già a prima lettura.
Dubbi formali, innanzitutto. Che in questo caso pesano come una trave, perché la democrazia – come ci ha insegnato Hans Kelsen – è essenzialmente una modalità procedurale. E perché la forma è garanzia di libertà, diceva Calamandrei. Ma è una forma deforme, quella con cui il legislatore italiano confeziona i suoi provvedimenti. Dal «Cresci Italia» di Monti (decreto legge n. 1 del 2012: quell’anno l’Italia continuò a decrescere) alla «Buona Scuola» di Renzi, i nostri governanti meriterebbero un’incriminazione per truffa delle etichette, reato punito dal codice penale. Anche perché non è affatto fortuita l’assonanza fra leale e legale. Non a caso il tribunale costituzionale, in oltre 500 decisioni, ha evocato il principio dell’affidamento, della reciproca fiducia cui devono improntarsi i rapporti fra le istituzioni e i cittadini.

Secondo dubbio formale: la quantità di deleghe che la legge n. 107 del 2015 elargisce nei confronti del governo. Il comma 181 ne detta i principi e i criteri direttivi, come impone l’art. 76 della Costituzione; sennonché talvolta queste linee guida appaiono sin troppo sfumate, ambigue, reticenti. È il caso, per esempio, della delega ad accorpare in un futuro testo unico le disposizioni vigenti sulla scuola, autorizzandolo però ad apportarvi «modifiche innovative» per garantirne la coerenza: una delega in bianco, né più né meno.

Terzo dubbio formale: il maxiemendamento dal quale discende, come un frutto dal seme, la riforma della scuola. Rinverdendo così una prassi deteriore che i costituzionalisti denunziano da tempo, e su cui la Consulta farebbe bene ad accendere il rosso del semaforo. Perché tale prassi consuma una frode in danno dell’art. 72 della Costituzione: le leggi s’approvano «articolo per articolo», ma ogni articolo dovrebbe esporre un unico oggetto, un’unica materia. Perché in caso contrario viene confiscata la libertà di voto dei parlamentari, costretti ad esprimere un «sì» o un «no» in blocco, senza separare il loglio dal grano. E perché il risultato finale non è una legge, bensì un elenco del telefono, oltretutto scritto in ostrogoto: un solo articolo, 212 commi che ti fanno ammalare di commite.

E nel merito? Sulla legge n. 107 sono piovute, fin dalla sua gestazione in Parlamento, accuse d’ogni sorta. Talora pretestuose, quantomeno sul piano della legittimità costituzionale. È il caso dell’alternanza scuola-lavoro, che Alberto Lucarelli (nel suo blog sul Fatto quotidiano) giudica in contrasto con il diritto allo studio. E gli stage che le università italiane propongono da anni ai loro studenti, sono anch’essi incostituzionali? Attenzione a non trasformare il diritto allo studio nel dovere alla disoccupazione. È il caso, per fare un altro esempio, del Comitato per la valutazione dei docenti. Ne fanno parte un rappresentante dei genitori e uno degli studenti, e ciò secondo alcuni offenderebbe la libertà d’insegnamento. Che tuttavia non coincide con l’insindacabilità di cui godono i parlamentari, non è un ombrello da aprire in tribunale. D’altronde pure all’università gli studenti giudicano i loro professori, compilando una scheda di valutazione.

Rimangono però altre due obiezioni, e non di poco conto. In primo luogo circa il finanziamento agli istituti scolastici privati (il buono scuola), vietato dall’art. 33 della Costituzione: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Un divieto che il nostro legislatore si è messo sotto i tacchi fin dalla legge n. 62 del 2000, firmata dal governo D’Alema; ma nel diritto la recidiva è un’aggravante, non un’attenuante. In secondo luogo, c’è il punto più controverso della Buona Scuola: i poteri del dirigente scolastico. Che gestirà l’organico, assegnando le cattedre ai docenti; li premierà a sua discrezione con un bonus in denaro; formerà la sua squadra di governo scegliendo i docenti da promuovere al rango di ministro.

Insomma, un presidenzialismo nemmeno tanto mascherato; ma senza l’impeachment con cui il Congresso americano può licenziare Obama. Da qui i sospetti d’incostituzionalità, perché il principio democratico – che l’art. 1 della Carta pone a fondamento della nostra convivenza – vale per ogni istituzione pubblica, non solo per le assemblee legislative. E perché la scuola non è un’azienda, perché i docenti dipendono dallo Stato anziché da un manager privato, perché la loro libertà d’insegnamento si svuoterebbe come un uovo se un capoccia potesse dispensare premi e castighi in base a fedeltà politiche, o più semplicemente culturali. «Io non vivo, che per scrivere dei canti» diceva un verso di Béranger, poeta popolare francese vissuto al tempo della Restaurazione «ma se voi, Monsignore, mi togliete il posto, scriverò dei canti per vivere». Ecco, auguriamoci che nella scuola italiana sia ancora possibile cantare.


Professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’ Università degli Studi di Roma III, editorialista de “ Il Corriere della sera” e de “ L’ Espresso”

tratto da http://www.gildaprofessionedocente.it/news/dettaglio.php?id=433

Sindaci e fusioni: dati e riflessioni

In tempo di fusioni e di rottamazioni dei Comuni i sindaci di Seren del Grappa e di San Gregorio nelle Alpi si son dati la pena di esplorare e di analizzare alcune questioni che sono interessanti e da considerare appunto in relazione  con la pressofusione dei Comuni oggi in gran voga.
Riprendo quanto leggo nei loro scritti e lo ripropongo a mia volta.


Domande e risposte.

Qual è il costo imputabile ai Comuni rispetto all’intera spesa pubblica?
Il costo dei Comuni ammonta ad appena il 7% dell’intera spesa pubblica.

Quale sarebbe il risparmio se si eliminassero tutti i Comuni aventi una popolazione inferiore ai cinquemila abitanti?
Se si eliminassero tutti i comuni inferiori ai cinquemila abitanti il risparmio sarebbe appena del 2,38 % rispetto alla spesa complessiva imputabile ai comuni e dello 0.1% rispetto all’intera spesa pubblica.

Quale sarebbe il risparmio se si suddividessero invece i Comuni aventi più di 60mila abitanti in tanti Comuni di dimensioni medio-piccole (cinque-diecimila)?
Se si suddividessero i Comuni con più di sessantamila abitanti in Comuni di dimensioni medio-piccole il risparmio sarebbe discreto, e salirebbe al 17,25 % rispetto alla spesa imputabile ai Comuni e comunque appena del 1,21% rispetto all’intera spesa pubblica.

Quali risparmi si potrebbero ottenere intervenendo sulla spesa pubblica dello Stato centrale che è pari al 70 % della spesa pubblica generale?
Intervenendo sulla spesa pubblica dello Stato si può ottenere qualche risparmio significativo intervendo sulle spese che seguono: - spese di Camera e Senato: 1,5 miliardi € per 1500 dipendenti, e strutture che non diminuiranno con la riforma del Senato;- pensioni d’oro: 1,5 miliardi €: per il personale del parlamento, della Presidenza Repubblica e della Regione Sicilia, per funzionari, giudici ecc;- reversibilità del vitalizio per famiglie di onorevoli defunti: 43 milioni €:
* Si pensi che il taglio ai trasferimenti ai comuni bellunesi è pari a 42 milioni di €
* Si trovano 20 milioni di euro per garantire servizi aerei con la Sicilia (regione a statuto speciale)
* Si trovano 40 milioni  di euro per i forestali della Calabria (dipendenti regionali)
* Si trovano 9 milioni di euro per salvare dal fallimento Campione d’Italia (paradiso fiscale italiano)


Nota Bene

NB1: Possibilità nei comuni fusi di assumere il 100% di chi cessa dal servizio.
Il vantaggio è minimo poichè già oggi i comuni sono deficitari rispetto al reale fabbisogno del personale; il semplice fatto di sostituire chi va in pensione non consente in ogni caso di migliorare i servizi.
* va detto che malgrado i limiti all'assunzione il ministero della cultura ha previsto 40 milioni di € per assumere a tempo indeterminato 500 funzionari.

NB2: Incentivi alla fusione
Ora ci sono i "premi per i fusi", ma una volta finiti i premi che succede? Buona politica è guardare oltre l'orizzonte del semplice decennio.  
* I soldi dei premi comunque li prelevano
agli altri comuni, quindi è il gioco delle tre carte, nessuna risorsa aggiuntiva.

NB3: Piccoli comuni? Se si parla di abitanti, ma il territorio?
I nostri cosiddetti "piccoli Comuni" hanno superfici enormi rispetto sia ai comuni veneti di pianura sia ai comuni della montagna alpina (Austria – Svizzera – Francia).


NB4: La... #spendingreview che miglioramenti ha portato?
Nessuno! Anche Squitieri (pres. Corte dei Conti) ha chiaramente espresso l’inefficacia della spending review che è riuscita solo a far tagliare i servizi.

Posto che...

Posto che economicamente le fusioni dei comuni non risolvono in alcun modo i problemi della spesa pubblica italiana...
Posto che i comuni in generale hanno già abbassato di ben -6,6 miliardi nel 2015 la propria parte del debito pubblico, ma che questo sacrificio è stato del tutto vanificato dallo Stato centrale che nel frattempo lo ha innalzato di ben +40,5 miliardi...
Posto che ci sono comuni piccoli (es. Comitini) e grandi (Roma, Catania, Alessandria ecc) nei quali i soldi pubblici sono bellamente sperperati...
...è giusto voler essere ancora una volta i primi della classe?
E' saggio ed onesto imporre ancora i sacrifici alle comunità locali in cambio di qualche inutile lode sui giornali e senza risolvere alcun problema?

Chi è a favore e caldeggia le fusioni dovrebbe almeno dire se e come ci saranno effetti positivi e sicuri derivanti dalla fusione, ovvero se la fusione:
1.      risolverà o meno i problemi cronici del nostro territorio, ad esempio la costante emorragia demografica (peggio di noi tra le province montane solo Potenza;
2.      attenuerà o meno lo "scivolamento" di chi abita nei posti periferici verso i pochi centri maggiori della provincia;
3.      porterà più servizi, o non metterà puttosto a repentaglio quelli che già oggi faticano a restare sul territorio;
4.      farà sopravvivere o genererà o piuttosto addirittura farà morire imprese e negozi nelle aree marginali;
5.      porterà o non porterà più interventi (lavori pubblici) di quelli che oggi vengono fatti;
6.      porterà davvero più risorse per ogni abitante;
7.      permetterà o impedirà maggiore attenzione ai problemi idrogeologici.


Lascio alla riflessione di chi mi legge e non commento oltre.

lunedì 29 febbraio 2016

Rottamafusioni di Stato

A quanto pare non tutti sono poi così ordinatamente, così disciplinatamente, così ossequiosamente d'accordo col Palazzo quando Esso sostiene la brillante operazione del "Rottama&Fondi-il-tuo-Comune". C'è chi dissente!
Lo fanno anche alcuni sindaci della smobilitanda Provincia di Belluno: in primis quelli di Seren d. G e di San Gregorio n. A. e molti altri con loro.

Rifletto: è inopinatamente in atto, in questi ultimi anni, la smobilitazione dello stato posnapoleonico, lo smontaggio, per meglio dire, di quella repubblica che trae ancor oggi forma e strutture dalle riforme imposte dall'egocentrico empereur nei suoi possedimenti d'inizio 'Ottocento. 
Ed è in atto anche una sorta di metropolitanizzazione ideologica dei territori europei, col conseguente transito da una civiltà da sempre fondata sulle comunità locali, ad una specie di subciviltà posmoderna, precariamente poggiata sul piedestallo della società di massa: una società debole, costituita di gruppi e di individui giustapposti l'uno all'altro, scarsamente in relazione fra di loro, una società disorganica, non architettonica ma ingegneristica, fatta cioè di sole strutture senz'anima; slegata in se stessa per la mancanza irrimediabile di appartenenza e di identità comuni, e slegata per i troppi linguaggi in essere, per i pochi pochissimi valori universalmente condivisi. 
La società di massa in verità non è altro che un blob fluido e disordinato, un non-sistema umano avviato sempre più rapidamente a divenire caos e tribalità. 

Dissoluzione, disgregazione, omogeneizzazione e appiattimento verso il basso, crollo delle specificità organiche: questi sono i termini per definire ciò che appare ormai come una matastasi incistata nel ventre della res publica
Metropoli e megalopoli contro borghi e città. Metropoli, ma non, come vorrebbe l'etimo preciso, "grande città", e nemmeno città delle città, ma al contrario non-città: ipertrofia tumorale delle città umane, centro urbano impazzito, vorace, illimitato.

In questo quadro le comunità urbane e rurali sembrano sparire dal palcoscenico delle decisioni, smettono di essere i luoghi della partecipazione democratica dei cittadini. Ad esse si sovrappongono spettrali strutture di potere, lontane, misteriose, incontrollabili: commissioni sovrastatali e sovranazionali, convenzioni mai ratificate dai popoli, istituzioni scarsamente leggibili, imperi informatici e digitali, lobby finanziarie e società di gruppi di società bancarie a scatole cinesi, e cosche e logge massoniche... I cittadini sono subdolamente riportati al rango di sudditi di invisibili maestà.

Per semplificare: miopi interessi finanziari ci stanno imponendo la dissoluzione dei centri democratici, non tanto perchè essi siano dispendiosi (alla prova dei fatti non lo sono), ma perchè essi sono fonte di decisioni non del tutto controllabili dalla regìa.
E' complottismo il mio? Assolutamente no, me ne guardo bene dal farlo! è semplice osservazione.
I fatti dimostrano, purtroppo e senza ombra di dubbio, che i centri delle autonomie territoriali: Comuni, Province e Regioni e perfino gli stati nazionali vengono via via ridotti o di numero o di potere. 
Cui prodest? A chi giova demolire i luoghi della democrazia se non a chi ha in mente un disegno di tirannia oligarchica?
Demolire stati, regioni e comuni vuol dire demolire il ruolo della politica democratica, perchè farlo se non per favorire il potere di altri soggetti dal popolo, magari di grigi tecnocrati o di lobby, più o meno occulte, sopra di loro?

Ecco spiegato perchè, a fronte di sbandierati risparmi, che si hanno solo tagliando i servizi, assistiano, contro ogni buon senso, al crescente smontaggio dello stato. In questa cornice i comuni, le province e le regioni finiscono rottamati, finiscono in fusione. Perchè non di risparmio o di razionalizzazione si tratta, ma di una vera e prpria demolizione della politica, di una de-democratizzazione, se non, anche e perfino, di una forma inusitata di neofeudalesimo incipiente, o di Signorie globali del duemila. 

Intanto, come ho scritto all'inizio, c'è chi dissente, e non dissentendo per stupidità o per poca lungimiranza, e neppure per torbido interesse personale, lo fa per ragioni di pura etica e di morale. E dissente portando dati e ragionamenti che dimostrano come il fondi&rottama dei comuni altro non sia che una "pesca al pesciolino": il verme, neanche tanto grassoccio, degli incentivi pro fusione, serve a nascondere l'amo puntuto della cancellazione perenne di una comunità.
Meditate gente prima di rottamare.

domenica 11 ottobre 2015

L'ANCI Veneto sulle ULSS

Documento dell'ANCI regionale circa la riforma della sanità veneta.


Pdl 23 e proposte di modifica:
·        Si propone di nominare i 21 Direttori Generali per il triennio 2016-2018 (per le attuali ulss esistenti, per l'Azienda ospedaliera di Padova e di Verona e per lo IOV), di attivare l’Azienda zero in gennaio 2016, l'azienda Zero non deve avere compiti di Programmazione e Controllo che restano in carico alla Direzione Generale Sanità e Sociale, organo tecnico dell’assessorato alla Sanità e al Sociale nonché del consiglio Regionale, ma deve fungere da ente terzo di controllo, verifica e ideazione di strategie a supporto della direzione generale sanità e sociale e delle ULSS del Veneto (come precedentemente era Agenzia regionale socio sanitaria del veneto e come era proposto anche dal PDL n. 356 “istituzione del centro regionale per l’epidemiologia, la qualità e la sicurezza (CEQuaS)” .
Un organo terzo di controllo e verifica come strumento di garanzia, di correttezza e trasparenza delle azioni espressione di un buon governo.
·        Di individuare le nuove ulss secondo ambiti territoriali omogenei entro il 2016, di preparare le nuove schede delle nuove ulss nel primo semestre 2017 e    dare mandato ai direttori generali di integrare le ulss secondo il nuovo assetto con nomina a dicembre 2018 dei nuovi Direttori Generali.
·        Si propone, inoltre, di individuare un ambito territoriale adeguato attorno alle attuali aziende ospedaliere di Padova e Verona (circa 350-400.000 abitanti) riperimetrando così in linea di massima 2 ulss di ambito ottimale territoriale (in sintesi: 12 ulss con al centro un ospedale di rete, 2 Aziende ospedaliere con un territorio di riferimento e IOV).
·        Rispetto a quanto proposto nell'attuale Proposta di Legge n. 23 vi sarebbero una riduzione delle ulss esistenti dalle attuali 21 a 12 più azienda ospedaliera di Padova e di Verona e IOV.
·        Per quanto riguarda l'eliminazione del Direttore dei servizi sociali si fa presente che:
1. Nel PSSR approvato con la scorsa legislatura finalmente si è portata a compimento l'integrazione socio sanitaria, iniziata nel 1984, affidando al direttore di servizi sociali anche la funzione territoriale, ovvero il governo complessivo delle attività territoriali, che non sono solo quelle sociali, ma anche quelle sociosanitarie a rilevanza sociale (una tra tutte le cure palliative, che ad oggi rappresentano una delle sfide anche economiche più impegnative del sistema). Eliminare il Direttore dei Servizi Sociali, riaccorpando le sue funzioni al Direttore Sanitario, significa rimettere il focus sull'ospedale e l'ospedalizzazione, contro ogni evidenza, teoria e pratica, della necessità di fare dell'ospedale il luogo dell'acuzie e del territorio il luogo della presa in carico integrata dei problemi delle persone.
2. In una Regione la cui amministrazione rivendica quotidianamente il primato di eccellenza della sanità, una delle eccellenze è stata proprio l'integrazione socio sanitaria, che ha permesso lo sviluppo di una rete di servizi più vicini al cittadino, con il coinvolgimento tramite le Conferenze dei Sindaci dei comuni e delle Aziende Sanitarie. Oggi l'integrazione è un modello cui stanno puntando altre regioni. Eliminarla, soprattutto in un momento di difficoltà per i comuni a riprendersi le deleghe alla luce del patto di stabilità, significa minare alla base i servizi per i cittadini. Proprio perché Sanità non coincide con Ospedalizzazione. Quando si dice che questa riforma del sistema consentirà tagli della spesa senza tagli ai servizi, non si presta sufficiente attenzione ai servizi del territorio, che saranno necessariamente ridotti e tagliati.
Venendo meno la direzione dei servizi sociali (del quale non si capisce la ragione o i vantaggi economici finanziari) verrebbe meno la peculiarità propria del SSR veneto caratterizzato da una forte integrazione socio-sanitaria. Il ruolo della conferenza dei sindaci viene ad essere totalmente sminuito, il Comune verrebbe a versare dei contributi all’Azienda Ulss senza avere nessun controllo sull’operato e sui livelli di assistenza erogati ai propri cittadini. La figura del direttore dei servizi sociali deve essere mantenuta.

E’ inoltre opportuno elaborare un piano economico-finanziario che evidenzi gli effettivi e veri risparmi indotti da questa riforma sanitaria.





Il BARD sulle ULSS

 Una nota del BARD sull'ipotesi di unificazione delle ULSS 


ULSS UNICA BELLUNESE
“L'AZIENDA DOLOMITICA E' CONTRO IL TERRITORIO”

“La vogliono chiamare Usl Dolomitica, ma sarà un'operazione decisamente dannosa per il nostro territorio”. La nascita di un'unica azienda sanitaria nel Bellunese, nata dalla fusione delle due Ulss provinciali, sarà l'ennesimo colpo alla sanità di montagna: ne è sicuro il movimento Belluno Autonoma Regione Dolomiti, che raccoglie lo sfogo dei sindaci dell'Ulss 2 Feltre.
“Il taglio della spesa pubblica è sempre più necessario, – commentano dal direttivo – ma non è certo riducendo ancora i servizi alla montagna che si risolvono i problemi del Veneto e dell'Italia. Con la sanità “modello Zaia”, salta l'integrazione ospedaliera con il territorio, si sgretola il pilastro dell'integrazione socio - sanitaria che nel nostro territorio ha generato tanta qualità. Si vuole seguire il modello lombardo, con le unità operative in pochi centri (già il piano sanitario del 2011 concentrava in pianura la maggioranza delle unità operative complesse, facendo perdere a Belluno 6 unita operative complesse e due strategiche a Feltre, con pochi tra sindaci e cittadini che si resero conto della discesa nella qualità e nella  quantità delle prestazioni): un modello che depotenzia il pubblico e lascia spazio al privato, minando il concetto di universalità della garanzia alla salute. Prevenzione, cura e riabilitazione non possono dipendere dal portafoglio del cittadino”.
“La sanità è un diritto universale e deve essere garantita parimenti in tutti i territori: il presidente Zaia non può pensare solo a Treviso e alla pianura. Per noi bellunesi, l'unica strada per continuare a vivere nei nostri paesi è guardare al nord, alle altre terre alpine, quelle simili a noi, che hanno i nostri problemi e sanno come affrontarli”.
“Si risparmia la spesa di un ufficio di direzione generale, ma si taglia anche la figura del direttore dei servizi sociali. - continuano dal Bard – Si perde tutta l'autonomia dei direttori generali, a favore di una grande azienda regionale, la famigerata Uls “zero”, dalla quale dipenderanno decisioni come quelle, fondamentali, sulle assunzioni, alla faccia dell'autonomia, del federalismo e delle specificità dei territori”.

“Siamo orgogliosi – concludono dal movimento – che tutti i sindaci del territorio dell'Ulss 2 abbiano deciso di alzare la testa, anche quelli che due anni e mezzo fa hanno bocciato i referendum per il passaggio di confine, non capendo il reale intento politico della consultazione. Se i sindaci scenderanno in piazza contro questa decisione, noi saremo con loro: lo abbiamo fatto sul Ponte Cadore, lo faremo anche a Feltre, Lamon o dove vorranno”.

Gianmario Dal Molin sulle Ulss

Una nota di Gianmario Dal Molin sull’ipotesi di unificazione delle Ulss 

Dopo la presentazione del DDL regionale sull’unificazione delle Ulss che vede cancellata l’autonomia sanitaria del Feltrino in nome di un discutibile accentramento provinciale, occorre iniziare una battaglia civile e democratica di sensibilizzazione su due fronti: quello interno dell’opinione pubblica, delle associazioni e delle istituzioni e quello nei confronti della Regione che ha sempre visto con un occhio di riguardo la specificità del Feltrino il cui ospedale, interregionale, serve anche il Primiero.
Se vi è un territorio nel quale aveva un senso la vecchia programmazione regionale per aree ottimali e non per aree vaste,  in vigore da trentacinque anni,  è proprio quello della montagna per il quale la dimensione provinciale, come due secoli di improvvida esperienza  istituzionale dimostrano,  è sempre stata  nefasta. La sanità è sino ad oggi uno degli ultimi ambiti nei quali questa dimensione di area ottimale dei servizi avente per cento il binomio “ospedale - territorio” è stata rispettata ed è sotto gli occhi di tutti cosa ha fatto il Feltrino in ambito ospedaliero e in quello dei servizi sociali rispetto al Bellunese per il quale tutto veniva offerto su un piatto d’argento in quanto capoluogo di provincia. Ho sempre sostenuto, e ne  sono tuttora convinto, che Belluno, città di servizi, e dunque tendenzialmente “parassitaria”,  non ha mai avuto e non avrà mai i requisiti storici, culturali e politici per ridare al territorio ciò che sistematicamente gli sottrae. E questo sotto ogni profilo, amministrativo, economico e financo religioso. La filosofia dell’Ulss di Feltre è sempre stata all’incontrario quella di prediligere il territorio, dal Trentino alla Val Belluno, a scapito talvolta degli stessi servizi feltrini.
In montagna e soprattutto in campo sanitario e sociale è necessaria una guida “ a catena corta” che monitorizzi incessantemente i bisogni del territorio e ne riferisca autorevolmente  in Regione.  La deresponsabilizzazione a tutti i livelli che ne deriverebbe nel caso di una unificazione bellunocentrica sarebbe fatale per il Feltrino, come lo è stata per alcuni versi per le soppresse unità sanitarie locali del Cadore e dell’Agordino. Il Feltrino è per sua stessa natura e storia un area di confine vastissima che di “dolomitico” ha ben poco e su di esso confluiscono tuttora, oltre al Primiero, alcune zone della Bassa Valsugana e dell’Alto Trevigiano al punto di dire che se area vasta veneta deve essere ....meglio Treviso, come già stanno facendo alcune organizzazioni imprenditoriali e sindacali!

Gianmario Dal Molin

Il Documento del Comitato Pro Ospedale di Feltre

Testo del documento redatto dal Comtato Pro Ospedale sottoscritto da oltre quaranta associazioni dei comuni del Feltrino e del Primiero.


Comitato Pro Ospedale
Presso Centro Sportivo Italiano - Viale Mazzini 8
Tel. 0439 81111 Fax 83530 e mail csi.feltre@libero.it
Feltre
                                                                                              Feltre, 20 luglio 2015

            Il Comitato Pro Ospedale di Feltre, riunito in data odierna per esaminare il progetto di legge regionale n. 23 sulla riorganizzazione della sanità del Veneto, esprime il proprio forte dissenso verso un’operazione che ne stravolgerebbe l’assetto, quale si è venuto a strutturare in maniera perfettamente consona con le sue realtà territoriali.
            Se nella presenta fase storica, l’imperativo per lo Stato è di eliminare gli sprechi, ciò non può diventare, a livello politico-amministrativo, un brutale esercizio di tagli indiscriminati dei servizi, soprattutto nel delicato campo socio-sanitario e soprattutto in zone difficili come la montagna.
* * *
            I punti del PDL che appaiono maggiormente critici sono i seguenti:
A)     Il superamento di fatto delle sinergie fra servizi sanitari, socio-sanitari e sociali, che da sempre ha caratterizzato il Veneto (e in particolare l’Ulss 2 di Feltre), cancellando  totalmente (almeno in questa fase) il ruolo degli enti locali e della conferenza dei sindaci.

B)      La eccessiva concentrazione di funzioni (e poteri) in capo alla cosiddetta “Azienda Zero” e al suo Direttore Generale. Essa appare bensì utile ai fini del coordinamento e della programmazione (massime in sede di verifica e controllo) e di razionalizzazione del provveditorato nella logica dei costi-standard, a patto però di alzare solide barriere anti-corruzione (la nomina da parte del D.G. del Collegio Sindacale non va certo in questo senso) e di condividere con le Aziende le procedure di selezione del personale medico.

C)      La drastica riduzione del numero delle Ulss, che scardina brutalmente il principio perfettamente funzionale alla realtà policentrica del Veneto, secondo il modello “Ospedale-Territorio” e di aree ottimali fortemente agganciate ad esso.

E’ alle conseguenze di quest’ultimo aspetto che il Feltrino si ribella più decisamente, reclamando la sopravvivenza della propria Azienda Sanitaria, non per mera rivendicazione dello status-quo, o per ragioni di tipo campanilistico,  ma perché sussistono ragioni ben precise per ritenere che da una fusione delle due Ulss provinciali non discenderebbe, a livello provinciale, un miglioramento dei servizi, ma un loro peggioramento.
                Rilevato preliminarmente come appaia anacronistico rifarsi ai confini delle vecchie province, destinate a sparire come istituzioni locali intermedie, rispondenti a logiche ottocentesche di delimitazione di aree omogenee; e come il dibattito politico suscitato dal PDL in questione produrrà certamente la cassazione di più di uno degli accorpamenti previsti, tre sono le ragioni del dissenso:
1)      L’Ulss di Feltre ha un bacino reale d’utenza che travalica, appunto, i confini provinciali, sia verso l’Alto Trevigiano che la parte orientale dell’Altopiano di Asiago, sia soprattutto verso il Trentino (l’ intero Primiero e parte dell’Alta Valsugana e del Tesino). E’ per tale ragione, del resto, che l’ultimo PSSR classificò l’ospedale di Feltre quale “presidio a valenza extra-regionale”.
2)      La sempre invocata ma mai concretizzata “specificità” della montagna, sancita dalla LR 25/14 con particolare riferimento al territorio della provincia di Belluno, dovrebbe suggerire un’applicazione, appunto, speciale dei criteri stabiliti per la pianura, costituendo motivo politicamente più che sufficiente per derogare, qui come presumibilmente altrove, dai principi adottati.
3)      Il concetto di area vasta a dimensione provinciale appare incongruo per una area vastissima come quella della montagna nel mente appare parimenti inapplicabile il concetto di struttura hub  per l’ospedale di Belluno, inidoneo sotto ogni profilo, (strutturale, demografico, professionale ecc.) a ricoprire tale ruolo, per sua stessa natura estendibile a poche grandi realtà ospedaliere regionali.
* * *
                L’occasione sembra invece propizia per ripensare l’articolazione territoriale del Veneto, dove accanto ai capoluoghi di provincia esistono altrettanti centri “secondari” che però organizzano attorno a sé porzioni ben riconoscibili di territorio, sufficientemente vaste da giustificare una nuova distribuzione di funzioni amministrative, partendo appunto dalla sanità. Ciò porrebbe la Regione Veneto all’avanguardia nell’applicazione della Legge Delrio di riforma degli enti locali, attualmente in posizione di stallo, razionalizzando l’attuale enorme divario fra un’area metropolitana “monstre” e una dispersione di micro-Comuni, privi di qualsiasi forza propulsiva.
                Per il Feltrino si tratterebbe in più di attivare intese con la vicina Provincia Autonoma di Trento, per una integrazione sanitaria crescente con i territori gravitanti sull’ospedale di Feltre.
                
     La giustificazione degli accorpamenti basata sul “risparmio” di figure apicali di direzione che ne seguirebbe, è facilmente confutabile. Ricorrendo ad una logica moderna di management aziendale, sarebbe sufficiente affidare ad uno staff ridotto la governance delle Aziende Sanitarie: uno staff composto cioè dal Direttore Generale, dal Direttore dell’ ospedale e dal Direttore del Distretto, dato che con l’istituzione dell’Azienda Zero vengono meno molte funzioni di direzione strategica e molte funzioni di tipo amministrativo e gestionale, intatta restando l’esigenza di un controllo quotidiano su strutture e servizi che all’interno di mega strutture come quelle delineate sarebbero fatalmente lasciate in balia di se  stesse.  Siccome una delle motivazioni maggiori strumentalmente esibite è quella della riduzione della spesa, questo modello permetterebbe di conseguire gli stessi risparmi, pur mantenendo in vita tutte e 21 le Ulss attuali. Si creerebbe così un modello virtuoso che – mutatis mutandis -  applica alla sanità regionale le antiche pratiche di governo della “Serenissima”, con un forte accentramento da un lato ed un altrettanto forte contrappeso periferico dall’altro.
* * *
                Il Comitato Pro Ospedale di Feltre, fortemente preoccupato per il futuro della sanità provinciale, auspica pertanto una mobilitazione degli Enti Locali e delle Associazioni operanti nel territorio, per portare avanti le istanze illustrate nel presente documento, in un rapporto dialettico rispettoso ma fermo fra cittadini e istituzioni.