Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola
con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi
l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di
illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango
accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a
vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello
del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del
figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da
rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il
cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa,
possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato;
quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in
nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da
meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca
l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In
un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli
scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e
si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di
mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli,
tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati
soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in
cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi
selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su
chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo
consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è
concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un
ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è
più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo
sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui
e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può
comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi
tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà,
dal pericolo dell’autoritarismo?
Ecco, secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una
è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine
dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora
la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale
disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la
violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo .
Platone – La Repubblica Cap. VIII, Atene 370 A.C.
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