4 gennaio 2013 alle ore 23.35
C'è chi li promuove, chi li sostiene, chi li avversa, anche con
decisione, chi li snobba e chi li ignora o finge di ignorarli, anche se
ignorarli è diventato ormai difficile. Parlo dei referendum di
consultazione popolare per passare, armi e bagagli in mano, al Trentino
Alto-Adige.
Il mio Comune ha ricevuto la richiesta, sottoscritta da un cospicuo
numero di cittadini, di indire il referendum, e ha deliberato a favore,
con voto unanime dei consiglieri comunali. Poi le competenti autorità
romane hanno autorizzato la consultazione e ne hanno stabilito la data.
Dunque il referendum... s'ha da fare.
Ora mi permetto due parole sul tema.
Fin da quella volta che Napoleone Bonaparte pestò coi suoi calcagni
questa nostra terra, che oggi chiamiamo "provincia di Belluno", i nostri
comuni sono inscritti nell'ente amministrativo allora chiamato
"Dipartimento della Piave". In oltre due secoli di storia la nostra
provincia ha conosciuto varie vicissitudini, lunghi periodi di miseria e
brevi e rari momenti di fortuna.
Il Feltrino, che prima d'allora era del tutto autonomo, ha perduto
nella provincia quasi tutte le sue istituzioni più importanti. Il resto
del territoro, il Cadore, l'Agordino, il Comelico, l'Alpago... non se la
passa meglio: non ha visto che rari e localizzati esempi di sviluppo e
di benessere, mai nulla a che vedere col benessere e con lo sviluppo del
Trevisano, tanto per dire.
Onestà e laboriosità delle popolazioni "bellunesi" non sono valse che
ad ottenere le briciole di quanto hanno ottenuto nel frattempo i
fratelli trentini col loro statuto speciale.
La Provincia di Belluno ha avuto oltre duecent'anni di tempo per
dimostrare la sua forza e la sua efficacia nel difendere e nel
promuovere al meglio i suoi territori. Com'è andata, vogliamo fare due
conti? Siamo soddisfatti di questa provincia?
Se i risultati non ci soddisfano dovremmo semplicemente e saggiamente prenderne atto.
E se lo stato attuale delle cose, che vige da secoli, sia efficace o
meno ha da dircelo la statistica; e se siamo soddisfatti o meno ha da
dircelo l'uomo della strada che fa i conti con la fine del mese.
Io difendo l'unità della Provincia, sia ben chiaro, ma l'unità non
fine a se stessa, non come un valore assoluto, bensì come uno strumento
per governare i nostri paesi. Non altrimenti.
Per fortuna, io dico, l'unità della provincia di Belluno non forse è
nè l'unico nè il più efficace strumento per difendere e sostenere le
nostre ragioni. Per fortuna vi sono altre vie, vie che altri tentano di
percorrere, come fanno i comitati referendari e come fanno quei
cittadini che i referendum li hanno chiesti e sottoscritti. Fanno bene a
tentare strade impraticate? Non lo so, ma parto dal principio che
"tentare altre vie" sia sempre un atto d'intelligenza e di coraggio.
In ogni caso io sono il sindaco di Cesiomaggiore, sono al servizio
dei miei cittadini e sento il dovere, anzi, il "sacrosanto dovere", di
dare ai cesiolini la possibilità di esprimersi sul futuro del loro
Comune; come sento di sostenere le loro ragioni e di attendere di
conoscere la loro volontà, quale essa sia, per tenerla nel giusto conto,
com'è mio dovere.
Per questo non mi limiterò a difendere soltanto la Provincia di
Belluno e la sua unità, ma sosterrò parimenti le ragioni e il diritto di
chi ha chiesto il referendum per il distacco dal Veneto, ritenendo che
vi sia soltanto un'apparente contraddizione in questa scelta, ritenendo
che prima di ogni altra cosa venga il bene della mia gente e che ogni
strada democratica e legale per ricercarlo sia pure legittima.
Il referendum consultivo è uno strumento legale e democratico ed è
volto al bene del mio paese, allora ben venga il referendum, al di là
dei suoi costi che sono dei costi dovuti alla democrazia.
Aggiungo infine che la strada della specificità della Provincia di
Belluno nella Regione del Veneto è sempre valida e aperta. Ma deve
diventare sostanziale, reale e palpabile. Sarà questa sostanzialità, e
l'equità fra i territori, che toglierà eventualmente senso ad altre
scelte. Per ora vi sono ragioni storiche, identitarie ed economiche che
rendono più che rispettabile la scelta dei referendum.
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